domenica 28 settembre 2014

Fermato Marandino, gestì la latitanza di Raffaele Cutolo

Esponente di spicco nella Nuova Camorra Organizzata negli anni Settanta

Giovanni Marandino
Giovanni Marandino, 77 anni, noto quale esponente di spicco nella Nuova Camorra Organizzata negli anni Settanta e per aver gestito fino al maggio 1979 la latitanza del boss Raffaele Cutolo, è stato fermato dalla Polizia ad Albanella (Salerno). Nell'operazione sono state sottoposte a fermo, per disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, altre sei persone accusate di far parte di un clan camorristico di cui Marandino è considerato il capo.
L'ultimo arresto di Marandino risale al 2006 a Firenze, quando fu accusato di associazione mafiosa, usura ed estorsione. In quella circostanza, gestiva un clan nell'isola d'Elba. Le ipotesi di reato formulate nei riguardi di Marandino e degli altri sei sono associazione mafiosa, usura ed estorsione. Il clan - secondo gli investigatori - operava nella zona della Piana del Sele ed era attiva anche a Salerno e nell'agro nocerino.
Le indagini svolte dalla Squadra Mobile della Questura di Salerno sono cominciate nel dicembre scorso a partire da alcune estorsioni ai danni di imprenditori che per lavorare nella zona tra Eboli e Battipaglia, in provincia di Salerno, hanno subito ricatti e minacce. Da intercettazioni telefoniche e ambientali, e pedinamenti, gli agenti sono riusciti ad arrestare Ciro Casella, sorpreso a Capaccio (Salerno) con un'arma con matricola abrasa prima che si recasse assieme ad altri indagati a minacciare un imprenditore. Successivamente nella sua auto, a Salerno, è stato trovato un ordigno a base di tritolo. Nel corso della notte sono state eseguite anche numerose perquisizioni.

“Ricordi in bianco e nero”: libro su Cutolo

Presentato a Casoria (NA) un libro su Cutolo della giornalista Gemma Tisci; le lettere, scritti, la vita, la storia personale nella storia sociale

Raffaele Cutolo
Raffaele Cutolo nasce il 4 novembre del 1941 ad Ottaviano.  Gemma Tisci, molti anni dopo, nascerà nella stessa città che, come lei precisa, è stata segnata dalla “presenza” di Cutolo, il quale “aleggiandovi sopra”, non ha permesso alla sua città Natale, le possibilità sociali che dagli anni ’60 avrebbe potuto avere se non le si fosse stampata addosso la problematica legata alla NCO[1] e, se pure di riflesso, quella della NF[2]. Gemma Tisci ha un ricordo d’infanzia: si recava ad ascoltare dischi in un locale assieme alle amiche, in motorino, quando fu invitata a lasciarlo. Nel ripigliare il motorino e prendere la strada si ritrovò davanti un signore che le disse anche qualche parola. Tornando a casa rivide “il signore sconosciuto” in televisione. Era Cutolo, all’epoca latitante. Vera o falsa che fosse quell’esperienza nel riconoscimento, è pur certo che la giornalista di cronaca del Mattino Gemma Tisci ha avuto il passato ed il futuro “segnato” da quell’incontro e dall’essere vissuta su di un territorio noto per gli assassini e le guerre delle bande. Non stupisce quindi che, con l’intelligenza e la capacità sue proprie, abbia vissuto crescendo in conoscenza nel settore della criminologia e, forte delle lettere scambiate proprio con Cutolo e gli studi, le interviste fatte, abbia deciso di “dedicare” uno dei suoi libri a Cutolo. La presentazione del libro " Ricordi in bianco e nero - La vera testimonianza epistolare in diretta dalla cella del boss Raffaele Cutolo”- è avvenuta venerdì 26 settembre ore 17.30. Presso la biblioteca dell'istituto alberghiero A. Torrente. Via Duca d'Osta - Casoria NA.  Ha fare da presentatrice, l’insegnante Rosalia Marino, che ha potuto così presentare ai suoi allievi del “Progetto Sirio” (scuola serale per il 3° e 4° anno di ragioneria), un “pezzo di storia”. Drammatica e delittuosa quanto si vuole, ma pur sempre capace di aprire l’orizzonte della conoscenza su fatti e misfatti che hanno segnato la vita delle popolazioni della Campania –e non solo-, visto i rapporti stretti con i clan della Sicilia e gli interessi nazionali posti in gioco, ad esempio, con il caso Cirillo.[3] La Marino ha ricordato, nel corso dell’incontro, di avere visto assieme ai suoi allievi il film sul giudice Rosario Livatino[4]. Si disse al tempo che Cossiga l’avesse definito “il giudice ragazzino”- e non in senso [5], (poi lo stesso Cossiga, dodici anni dopo la sua morte, in una lettera ai genitori smentì che parlasse di lui), di avere commentato la figura di Salvo D’Acquisto e discusso molte delle questioni sociali che i giovani dovrebbero conoscere. In questo senso ha ringraziato la giornalista Tisci, la quale, nel corso della serata, con puntuale e precisa conoscenza dei fatti, anche risalenti ad anni in cui non aveva consapevolezza personale, ha permesso ai presenti la comprensione più chiara di eventi verso i quali la popolazione giovane d’Italia non può avere valutazione e giudizio. La “nostra” giornalista, che senza dubbio deve essere stata nel tempo della sua “esposizione” ai fatti, con i suoi articoli di cronaca, ben consapevole dei rischi chi si possono correre -si ricordi per tutti il giovane collega del Mattino di Napoli Giancarlo Siani - ha portato avanti con i suoi articoli e con i suoi libri la volontà di chiarire fenomeni complessi, come il bullismo.  Parlando di Cutolo ha rigcordato una sua frase: -“Cutolo è morto, adesso è rimasto solo Raffaele, un uomo che sta pagando le colpe commesse”, precisando che, soggetto anche al 41 bis, l’uomo in questione è vissuto lontano dalla società da anni, per cui, probabilmente, trovandosi oggi nelle strade di Napoli e nel traffico gli tremerebbero le mani come ad un vecchio. Cutolo, riferendosi al film “Il camorrista”, in una delle lettere scritte a Gemma dice:-“…Ho visto il film il camorrista giorni or sono, certo che è un falso totale, intriso di calunnie ecc. ecc. io con questo film mi sono preso due ergastoli perché i Giudici e i giurati vennero influenzati da questo film”- La storia di Cutolo fuorilegge comincia nel 1963, quando uccise (lo svolgimento dei fatti è controverso), un suo paesano. Condannato con un giudizio primario all’ergastolo, in appello ebbe ventiquattro anni di reclusione. La Tisci oggettivamente chiarisce:-“Divenne camorrista in carcere”. Ma non lo scusa per questo.  In quanto a Cutolo. Per lui “La giustizia è come una prostituta”. Strano personaggio, che non si è mai pentito ( -“ … quello che mi fa rabbia è che i giudici Calabresi hanno subito creduto a questi cialtroni, cosiddetti pentiti”- [6]),  cui ricorrono i politici -vedi il caso Cirillo-[7]  che pare sapesse dove fosse stato nascosto Aldo Moro (altro grande mistero della politica italiana), uomo di cui si comprende meglio la “sua” verità sia ascoltando la collega Gemma Tisci quando ne parla che leggendo il suo lavoro, nel quale si apprende di più anche sulla malavita organizzata, i suoi metodi, i suoi sistemi, i suoi uomini, il suo passato.  –“Una vera ecatombe, altro che guerra civile”.[8]
Raffaele Cutolo
affettuoso-
Libro da leggere. Ma, da stampare nella testa dei giovani  soprattutto questa frase, tratta da una lettera di Cutolo:-“Grazie a mia moglie Tina ho detto basta alla camorra, dal giorno in cui l’ho sposata nella Cappella del carcere Sardo dell’Asinara,[9](…) . Ragazzi! Non seguite i capi di organizzazioni criminali, perché sono solo una razza d’infami!”-
Bianca Fasano

[1] La Nuova Camorra Organizzata (conosciuta anche con l'acronimoN.C.O.) è l'organizzazione camorristica creata da Raffaele Cutolo, boss dei boss della camorra, negli anni settanta in Campania. Si ingrandì enormemente agli inizi degli anni ottanta coinvolgendo gli altri clan di camorra in sanguinose guerre. Fu considerata estinta negli anni ’80, con l’arresto dei suoi capo clan.
[2] La Nuova Famiglia, detta anche NF,  era una confederazione di clan creata da boss quali Michele Zaza, i fratelli Ciro e Lorenzo Nuvoletta ed Antonio Bardellino (affiliati a Cosa Nostra), e da altri capi-banda camorristi (Carmine Alfieri, Luigi Giuliano, Pasquale Galasso).
[4]Rosario Angelo Livatino (Canicattì3 ottobre1952 – Agrigento21 settembre1990) è stato un magistratoitaliano assassinato dalla Stidda. che aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.
[5]« Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno...? Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un'autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l'amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta. »
[6]  Da una lettera alla moglie Tina.
[7] Alcuni esponenti della DC e rappresentanti dei servizi segreti chiesero la collaborazione di Cutolo
[8] -“Ricordi in bianco nero”. Pag. 15.
[9] Ma forse a merito del trasferimento,  nel 1982, l'attività di Cutolo e della NCO subisce un forte rallentamento. Intelligente volontà dl Presidente della Repubblica Sandro Pertini,  che chiese il trasferimento dal carcere di Ascoli Piceno (dove il detenuto Cutolo soggiornava in una stanza elegantemente arredata ed aveva due persone alle sue dipendenze. Assurdo). al carcere di massima sicurezza dell'Asinara, 

lunedì 15 settembre 2014

Conservava i segreti di Moro ma fu ucciso dai "pesciaroli"

Franco Giuseppucci, il "Fornaretto" diventato "Negro". Con la sua morte iniziò una lunga stagione di sangue

Negli anni Settanta, all'Alberone, si riunivano varie "batterie" di rapinatori, provenienti anche dal
Franco Giuseppucci detto "er negro"
Testaccio. Costoro affidavano le armi a Franco Giuseppucci, che le custodiva all'interno di una roulotte, parcheggiata al Gianicolo, che venne, però, scoperta e sequestrata dalle forze di polizia; arrestato per questo, "er Fornaretto", che quando avrà arricchito il suo curriculum criminale diventerà "er Negro", se l'era cavata con qualche mese di detenzione: la roulotte aveva un vetro rotto, difficile, dunque, stabilire chi fosse stato a nascondervi dentro le armi. Quelle sequestrate non erano le sole che Giuseppucci custodiva: scarcerato, patì il furto di un maggiolone Volkswagen, con dentro un altro "borsone" di armi, affidategli da Enrico "Renatino" De Pedis, che il ladro cedette a Emilio Castelletti, socium sceleris di Maurizio "Crispino" Abbatino. E a quest'ultimo si rivolse er Negro, per reclamarne la restituzione. Fu quella, per i due, l'occasione di conoscersi e di dar vita, con Renatino, a una propria "batteria", destinata a trasformarsi in "banda", quando decisero di sequestrare, nel 1977, il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere. Da allora, la consorteria, che un ignoto cronista chiamò "Banda della Magliana", divenne sempre più forte, sino a sbaragliare ogni altra formazione criminale della Capitale. Ma trovò un punto di svolta quando er Negro, il 13 settembre 1980, fu ucciso a Piazza San Cosimato, a Trastevere, con un colpo di pistola, a opera di esponenti del clan rivale dei Proietti. Costoro, originari del quartiere romano di Monteverde, titolari di numerosi banchi del pesce e detti dunque i "pesciaroli", oltre che di alcune case da gioco, dediti all'usura e alle sommesse clandestine, vicini, soprattutto, a Franco Nicolini detto "Franchino er Criminale", a seguito dell'avvento della nuova potentissima organizzazione, avevano perso i privilegi che derivavano loro dal controllo del territorio, sicché si vendicarono su Giuseppucci. Provocazione micidiale cui seguì una vendetta sanguinosa: nei due anni successivi caddero sotto il piombo della Banda Enrico "er Cane" Proietti, Orazio Benedetti, Maurizio detto "er
Aldo Moro
Pescetto" Proietti e suo fratello Mario detto "Palle d'oro".

Tutto chiaro? Non proprio. Il killer del clan Proietti eliminò sì un elemento di primissimo piano della banda della Magliana, ma anche uno dei testimoni più importanti dei rapporti, in occasione del sequestro di Aldo Moro, tra delinquenza organizzata, apparati dello Stato e potere politico. La prematura morte del Negro può collocarsi dunque all'interno di un'inquietante sequenza di morti, violente o comunque sospette, apertasi nel maggio 1978, legate tutte dal medesimo filo rosso. Lo suggerisce il contenuto del borsello abbandonato su un taxi, a Roma, il 14 aprile 1979, e, in particolare, la scheda intestata "Mino Pecorelli (da eliminare)", in cui sono indicati gli indirizzi del giornalista e l'annotazione che avrebbe dovuto essere colpito "preferibilmente dopo le 19", nei pressi della redazione di OP; nonché l'altra importante annotazione: "Martedì 6 marzo 1979 causa intrattenimento prolungato presso alto ufficiale dei carabinieri, zona piazza delle Cinque lune, l'operazione è stata rinviata", contenente, tuttavia, un'indicazione incompleta: all'incontro fra Pecorelli e l'"alto ufficiale", cioè il colonnello dei carabinieri Antonio Varisco, si dice fosse presente anche l'avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, curatore fallimentare della Banca Privata Italiana, di Michele Sindona, avvelenato con caffè al cianuro, il 20/3/86, nel carcere di Voghera.
Ebbene. Il 9 maggio 1978 viene ucciso Aldo Moro. Il 20 marzo 1979, viene eliminato, a Roma, il giornalista Carmine "Mino" Pecorelli. Nella notte fra il 12 e il 13 luglio 1979, viene ucciso, a Milano, Giorgio Ambrosoli. Tre mesi dopo, Joseph Aricò, il suo presunto killer, tenterà di evadere da un carcere americano, scavalcando una finestra, al nono piano. La mattina del 13 luglio 1979, sul Lungotevere, il colonnello dei carabinieri Antonio Varisco viene freddato con modalità singolari, rispetto a quelle solite dalle Brigate Rosse, che pure rivendicano l'attentato. Nel settembre 1980, è la volta, come si è visto, di Franco Giuseppucci e, nel febbraio 1981, di Nicolino Selis, ucciso dai suoi stessi sodali: i due avevano concorso all'individuazione del covo prigione dell'onorevole 
Moro. A Palermo, il 25 aprile 1981, viene ucciso Stefano Bontade, il quale si era contrapposto Pasquale Barra, Vincenzo Andraus e altri cosiddetti "killer delle carceri", trucidano Francis Turatello: aveva cercato di utilizzare a fini ricattatori quanto fatto per l'individuazione del covo prigione dell'onorevole Moro. Il 3 settembre 1982, a Palermo, viene eliminato il generale dei carabinieri, all'epoca prefetto della città, Carlo Alberto Dalla Chiesa e con lui la moglie, Emanuela Setti Carraro, e l'autista, Domenico Russo. Il 29 gennaio 1983, mediante l'esplosione di un'autobomba piazzata nelle vicinanze di Forte Braschi, sede del Sismi, viene ucciso il camorrista cutoliano Vincenzo "'o Nirone" Casillo: a nome dei politici nazionali con cui manteneva i contatti, aveva indotto Raffaele Cutolo a desistere dalla ricerca del covo-prigione di Aldo Moro. Il 28 settembre 1984, viene ucciso a Roma Antonio Giuseppe Chichiarelli, autore materiale del falso comunicato del Lago della Duchessa del 18 aprile 1978, e di altri interventi depistanti sugli omicidi Pecorelli e Varisco, come quello del borsello abbandonato in taxi. Sempre nel 1984, si registra il suicidio, a Londra, di Ugo Niutta, grand commis di Stato, già collaboratore di Enrico Mattei e amico dell'onorevole Antonio Bisaglia, deceduto alcuni mesi prima, cadendo da una barca. Una morte misteriosa quella del parlamentare veneto: chiamato pesantemente in causa dal parlamentare missino Giorgio Pisanò per i fondi elargiti a Carmine Pecorelli, proprio mentre il direttore di O.P. stava rivelando la grande truffa dei petroli, "13 milioni di barili di benzina spariti, mentre gli italiani vanno a piedi e le industrie sono in piena crisi energetica", e brutalmente scaricato dal proprio Partito, prometteva clamorose rivelazioni; alcuni anni dopo, il fratello sacerdote, molto impegnato, tra l'altro, a far luce sulla sua morte, sarà rinvenuto cadavere in un laghetto alpino del Bellunese, con le tasche piene di sassi; last but not least, il colonnello Antonio Varisco, subito dopo la morte di Carmine Pecorelli si era dimesso dall'Arma e, nel momento in cui venne ucciso, stava per andare a lavorare a Farmitalia, proprio con Ugo Niutta.
a Totò Riina e a Michele Greco, dichiarandosi favorevole all'intervento di Cosa Nostra a favore del presidente della Democrazia Cristiana. Il 12 maggio 1981, tocca a Salvatore Inzerillo, che del "principe di Villagrazia" aveva condiviso la posizione. Il 21 ottobre 1981, viene ucciso, a Roma, il capitano Antonio Straullu: oltre a occuparsi di destra eversiva, aveva firmato i rapporti investigativi sul borsello fatto trovare il 14 aprile 1979. Nel luglio 1982, a Milano, viene ucciso e bruciato all'interno del portabagagli di una macchina, Antonio Varone, fratello di Francesco Varone, che da lui autorizzato aveva collaborato con gli apparati dello Stato alla ricerca del covo prigione dell'onorevole Moro, sentendosi dire, a casa di Frank "tre dita" Coppola: "quell'uomo deve morire". Sempre nell'estate del 1982, nel carcere di Nuoro,