martedì 7 novembre 2017

Antonio Schettini libero nel 2018, è il killer di Roberto, figlio di ‘o Professore

L'assassinio uscirà dopo 25 anni di detenzione di cui l'ultimo periodo trascorso come collaboratore di giustizia. Vivrà in una località protetta


Era dicembre del 1990, un inverno freddo di tanti anni fa. Roberto Cutolo viveva in un paesino della Provincia di Varese, con pochi soldi in tasca, in compagnia della moglie Assunta Alba (un ex cantante di sceneggiate napoletane allora incinta) e del figlio Raffaele (in onore di suo padre). Erano 4 anni che il figlio di ‘o Professore si era trasferito, abbandonando Ottaviano l’ex regno vesuviano di Raffaele Cutolo leader indiscusso della NCO (Nuova Camorra Organizzata) che con la guerra contro la NF (Nuova Famiglia) ha insanguinato le strade di Napoli.

Roberto aveva visto per la prima volta il padre all’interno di un manicomio giudiziario e si sa ‘o Professore ha condotto la faida quasi sempre dall’interno di un istituto di detenzione. Suo figlio ne conosceva la reputazione, ma il sangue è sangue, la famiglia è la famiglia e il cognome era di quella pesantezza che sopportarne il valore non è affatto facile. Ma la scelta di lasciare Napoli non è servita a molto, oltre che obbligata da un divieto di dimora al Sud.
Roberto Cutolo è stato ucciso a 28 anni da una decina di colpi d’arma da fuoco davanti al bar Bartolora Tradate, frazione di Abbiate nel varesotto, dove il figlio di ‘o Professore  si era trasferito. Roberto è stato trucidato all’interno della sua auto, un vero e proprio tiro al bersaglio da parte dei killer che non hanno lasciato scampo al giovane. Quest’ultimo ha provato a resistere fino alla fine, dopo la scarica di proiettili ha aperto la portiera della vettura ed è scivolato all’esterno cadendo sul manto stradale ghiacciato per chiedere aiuto. Il proprietario del bar è uscito fuori dal locale, lo ha soccorso e ha chiamato l’ambulanza. Poi la corsa, inutile, in ospedale.
Roberto Cutolo non impensieriva più di tanto gli investigatori, aveva qualche precedente ed alcuni procedimenti giudiziari in corso. Un arresto per guida senza patente, il suo presunto coinvolgimento in una rapina alle poste e in un giro di prostituzione intorno all’aeroporto di Malpensa. Il giovane è stato poi prosciolto da entrambe le accuse. Viveva con i soldi che la madre, Filomena Liguori, gli inviava puntualmente ogni mese con un vaglia. La moglie arrotondava vendendo dei giocattoli che costruiva in casa. L’unico processo in cui era imputato era quello basato sull’omicidio di Francis Turatello alias ‘Faccia d’angelo ucciso 9 anni prima nel carcere di Nuoro. La Cassazione ne aveva ordinato il rifacimento e l’accusa voleva provare il coinvolgimento del figlio di ‘o Professore allora diciassettenne (secondo la Procura sarebbe stato lui a portare l’ordine di morte dietro le sbarre). Ma il giovane Cutolo ha sempre smentito l’accusa ed una volta uscito dal carcere di Avellino ha provato ad alzare un muro tra lui e le vicissitudini del papà.
Ma la sua morte è stato più che altro un messaggio che i nemici del padre hanno voluto dare a ‘o Professore. Secondo le indagini svolte dagli inquirenti nel corso degli anni, dietro l’agguato c’era il boss Mario Fabbrocino membro della Nuova Famiglia e acerrimo nemico di Raffaele Cutolo. Uno dei killer che ha eseguito l’omicidio è Antonio Schettini detto ‘Tonino o Napoletano che agli inizi del 2018 tornerà libero dopo 25 anni di carcere. La libertà l’ha guadagnata pentendosi e rivelando alle autorità molti aspetti di quella violenta faida. Schettini vivrà in una località nel bergamasco.


La storia. Dal Corriere della Sera. di Maddalena Berbenni

Confessò 59 omicidi per i clan, presto Antonio Schettini sarà libero

«Tonino» il napoletano nel ‘90 fece uccidere il figlio di Cutolo: «Ho il rimorso per due morti, non c’entravano nulla». Per lui ultimi mesi ai domiciliari. La sua casa confiscata accoglierà donne in difficoltà

Erba e ortiche. Niente più palme, solo la scaletta malconcia del locale comandi. Quella piscina, Antonio Schettini, l’aveva costruita in due settimane per accontentare i figli. In un angolo c’era il recinto dei cani, in un altro il portico per le grigliate. Il prato all’ingresso gli ricorda quando i muratori avevano fatto danni in giardino alla vigilia della Prima comunione della sua bambina. Cosa che lo aveva mandato non poco in bestia. Eccolo qui, Tonino il napoletano, l’uomo dei 59 omicidi, 37 eseguiti, gli altri ordinati o organizzati per conquistare e poi mantenere il controllo sul traffico di droga lungo l’asse Milano-Lecco, tra gli anni Ottanta e Novanta. Tempi di killeraggi e discoteche, miliardi e sante alleanze. Di donne e armi. Di pentiti, anche. Lui a suo modo collaborò e così si spiegano i soli 26 anni di carcere, quasi tutti in 41bis, il regime di sorveglianza speciale riservato ai detenuti più pericolosi, quello al quale l’amico Franco Coco Trovato, di cui era il braccio destro, ha dedicato la sua tesi di laurea in Giurisprudenza. L’ha discussa il 20 ottobre scorso, a Rebibbia, dove è rinchiuso.

Ai domicilari per motivi di salute
Schettini, 60 anni, da quattro vive invece ai domiciliari per motivi di salute, con il permesso di uscire per andare al lavoro. A inizio 2018, avrà finito di scontare la sua pena e allora sarà un uomo libero. Eccolo qui, Tonino, davanti al cancello di via Martin Luther King 15, a Suisio, con i vicini che lo riconoscono e ci scambiano due parole: “Mi saluti la moglie”. Niente più completi gessati, solo jeans e giubbotto. La sua carriera criminale, adesso, è un po’ come la piscina nella villetta confiscata per mafia. Sottoterra, ma ancora lì. Vedi la traccia e puoi soltanto immaginare, se ce la fai. «Io adesso ho metabolizzato tutto – racconta seduto in un bar -, col senno di poi mi è dispiaciuto per le persone che ho ammazzato, due mi pesano in maniera particolare: si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Comunque, di gente ne ho anche salvata tanta: mi sono rifiutato di uccidere chi non c’entrava».
La sua casa accoglierà le donne in difficoltà
Schettini si trasferisce al Nord nel 1979. Due anni dopo entra nella villetta di Suisio, oggi proprietà comunale. A giorni riaprirà come casa di accoglienza per donne in difficoltà: «Avrei preferito un centro di riabilitazione, avrebbero potuto sfruttare la piscina», pensa. A Calusco d’Adda, sul confine con Lecco, terra dei Trovato, ai tempi apre il ristorante O’ Scugnizzo. È dove tutto ha inizio: «Mi vennero a cercare, io non dissi di no». Gli serve poco tempo per scalare: «Dal mio locale è passata tutta la malavita. Solo due non ne ho conosciuti, ma per mancanza di tempo: Riina e Provenzano». Si affilia alla ‘ndrangheta, si fa battezzare picciotto e finisce per passare dall’ala mite, «una specie di mutuo soccorso», spiegazione sua, a quella esecutiva dell’organizzazione. Diventa «evangelista», anche se le doti gli importano fino a un certo punto: «Il valore della persona non lo fa il grado», è convinto. Ciò che ha sempre fatto la differenza, nel suo caso, è stato «nascere nei vicoli di Napoli, tra l’altro da una famiglia perbene. Mio padre faceva il ferroviere». Passa davanti a una chiesa e si fa il segno della croce. «Se cresci nei vicoli, le persone ti basta guardarle negli occhi per capire. Impari ad arrangiarti e io, di fronte a ogni ostacolo, ho sempre trovato una via d’uscita».

Stangolamenti e agguati con la banda dei Trovato-Flachi Strangolamenti e agguati si susseguono per un decennio con la banda dei Trovato-Flachi (Pepè, l’erede di Vallanzasca alla Comasina) che acquista potere, stringe patti e scatena la guerra contro i Batti, “colpevoli” di intralciare il loro dominio sugli stupefacenti. Un bagno di sangue, culminato, secondo i giudici, nell’esecuzione nel Tradatese di Roberto Cutolo, figlio del boss della Camorra. Era il 1990. In base a quanto fu ricostruito a processo, fu uno scambio di favori tra i Fabbrocino e Schettini. Lui oggi nega: «La realtà è diversa - assicura -. Io ero il mandante, ma non c’entrava la storia coi Batti. Fu per Jimmy Miano». Altro capo clan amico, ma catanese: «Ne feci contenti cinque ammazzando Cutolo Jr. Una volta sistemata la cosa, telefonai a tutti».

In cella nel 1992 
Coinvolto nelle maxi indagini Wall Street e Count Down, Schettini finisce in cella nel 1992 per l’omicidio del narcotrafficante Alfonso Vegetti, a Cinisello Balsamo: «Ma io non c’ero nemmeno». Nel ’94 inizia a collaborare e nel 2001 è fuori con altri 78 boss per un pasticcio della giustizia: erano scaduti i tempi di detenzione prima del processo di appello. Per Tonino il tribunale dispone il soggiorno obbligato a Pisa, «dove ho ancora una barchetta». Ma nel giro di poco si scoccia, sparisce e la Squadra mobile lo riporta dentro. Gli agenti lo catturano inscenando un cantiere in autostrada, a Melegnano. Carcere duro: «L’essere umano si abitua a tutto – ribatte -. Io guardavo un sacco di documentari: Quark, Gheo e Gheo, Turisti per caso». E comunque le leggende sulla sua detenzione si sprecano. «Fuori oggi è uno schifo, è tutto in mano agli stranieri, bisognerebbe fare un casino per ripartire». Non è il suo obiettivo. La sua passione sono diventati i cani. E basta guai: «Voglio starmene tranquillo».


domenica 19 marzo 2017

"Il Camorrista" in DVD con uno speciale Backstage inedito prodotto durante le riprese a Napoli.



Se da più di quarant’anni Argento vuole metterci brividi al sarcasmo, Giuseppe Tornatore iniziò a scuotere le coscienze del suo pubblico con la storia verosimile de Il camorrista, ispirata a un vero boss di mafia. Aveva le atmosfete musicali antiche e drammatiche del primo Nicola Piovani, anche lui agli esordi sul grande schermo. Confessava Tornatore a La Repubblica nel ’94, anno in cui fu passato in tv per la prima volta questo ritratto/denuncia sugli intrecci tra camorra e politica: “È un film dimenticato, al quale sono molto affezionato: intanto perché è il mio primo film e poi perché dopo averlo rivisto, recentemente, mi sono reso conto di quanta forza provocatoria e di dibattito avesse al di là di certe ingenuità e inesperienze”. Il volto di Ben Gazzara scolpisce la strafottenza di un uomo in ascesa attraverso la criminalità organizzata. Dal carcere di Poggio Reale fino alla mafia newyorkese, spargimenti di sangue e scontri verbali con i giudici, molte scene erano prese anche dalla cronaca giudiziaria.

È raro ed estremamente prezioso trovare nel dvd il backstage originale di un film girato nell’86. In forma di doc, La febbre del Camorrista di Mario Canale mostra quei set nella pancia trafficata degli anni ottanta. Le riflessioni attoriali di Gazzara e Laura Del Sol sui loro character, ma soprattutto tanto giovane Tornatore. Tra fischi di vigili urbani, troupe in perenne movimento e carretti siciliani il regista ci parla delle origini del film, dell’acquisto dei diritti dal romanzo omonimo firmato Giuseppe Marrazzo – in quegli anni giornalista del TG2, e padre anche di Piero Marrazzo – ma soprattutto della sua idea d’innesto cinematografico tra cronaca e finzione. Una verosimiglianza scottante che anticipava Gomorra, ispirando lo stesso Roberto Saviano per il suo lavoro. Oltre a una storia fumosa di censure e ritiri dal mercato, il film ebbe ben tre querele: una da Raffaele Cutolo, una da Ciro Cirillo, ex-assessore della Campania rapito dalle Brigate rosse nell’81 e rilasciato dietro riscatto, più quella da Enzo Tortora. Non pareggiarono il conto un Nastro d’Argento e un David di Donatello, ma il ritorno in home video a trent’anni dall’uscita era un riconoscimento doveroso.
fonte: Il Fatto Quotidiano

venerdì 17 marzo 2017

Gomorra anche per Raffaele Cutolo. Il professore fa comodo a tutti, intanto marcisce in galera.

Raffaele Cutolo e gli attori di Gomorra
INTERNAPOLI. Da città simbolo del potere della camorra negli anni ‘80 a set di una fiction sulla malavita. Dai boss in carne e ossa a quelli costruiti attorno a un copione. Dalla realtà alla fantasia.
Gomorra 3, la serie ispirata ai racconti dello scrittore Roberto Saviano - come riportato da Metropolis - sbarca a Ottaviano. La troupe della fiction che tante polemiche ha alimentato nel corso di questi anni, ha scelto come set una chiesa sconsacrata. Una parrocchia piazzata a due passi dal castello Mediceo, l’ex reggia del boss Raffaele Cutolo, il padrino pluriergastolano che negli anni ‘70 fondò la Nuova Camorra Organizzata.
All’interno della parrocchia è stata allestita - già nel pomeriggio di ieri - una serra di marijuana che fungerà da sfondo per le scene che verranno girate sotto la direzione del regista Stefano Sollima.
21/02/2017

tratto da: http://www.internapoli.it/58524/il-capo-della-camorra-raffaele-cutolo-entra-in-gomorra-telecamere-nellex-reggia-del-professore

giovedì 9 marzo 2017

Storia della Mafia a Brescia: Cutolo ospite sul Garda a Pizza connection

Nel ‘77 Cutolo trovò rifugio sul Garda e la N’drangheta faceva cresime sul Sebino.Pedana fu trovato incaprettato a Lonato, il cadavere di Antonio Messina sul lago d’Iseo

di Marco Toresini
(Corriere della Sera)

Raffaele Cutolo
shadow
Il collaboratore di giustizia , prima di fare il narcotrafficante al soldo delle famiglie Caruana - Cuntrera in Sud America, aveva preso casa a Soiano in un’anonima villetta, come anonimo era il suo lavoro di rappresentante di biancheria, una bella copertura per uno come lui, uomo di camorra. Uomo fidato di Raffaele Cutolo, leader della nuova camorra organizzata, che in quella villetta dell’entroterra gardesano trovò rifugio (così raccontò il pentito) negli anni ‘77 - ‘78 dopo la fuga da Poggioreale. Anni lontani che testimoniano però come Brescia ha a lungo rappresentato un luogo sicuro per fare affari, per nascondersi nei tempi di burrasca, per trovare le coperture giuste. Le cronache giudiziarie raccontano come Brescia e il suo territorio non sia mai stato una zona franca per la criminalità organizzata.
Il buen ritiro bresciano e i regolamenti di conti
Al contrario ci hanno riferito come la ‘Ndrangheta avesse messo piedi piuttosto stabili in Valtrompia e a Lumezzane (con le feste per cresime e battesimi nei ristoranti del Sebino trasformati in veri e propri summit tra boss mafiosi) o come, in una lussuosa villa di Concesio, un imprenditore finì tra i personaggi di spicco dell’inchiesta «Pizza Connection», la prima grande inchiesta su «Cosa Nostra» tra l’Italia e New York. Brescia negli anni è diventato il rifugio per chi doveva cambiare aria, anche solo per sfuggire alle guerre tra cosche di una Milano tentacolare, o per chi in terra bresciana doveva regolare certi conti. Allora il lago di Iseo diventava un’ottima tomba dove inabissare personaggi diventati troppo scomodi o il luogo di gialli intricati. Come quello legato al corpo di Antonio Messina, fuggito dalla Sicilia, trovato nel settembre del ‘91 da un cercatore di funghi nei boschi di Sale Marasino. Lo stato di decomposizione del cadavere era talmente avanzato che all’indomani del ritrovamento si presentò ai carabinieri per riconoscerlo un amico con casa nell’hinterland di Milano. Cosa fosse accaduto a Messina lui non lo disse e si portò il segreto nella tomba visto che fu il secondo morto di una serie di feroci esecuzioni che misero a ferro e fuoco la periferia meneghina.

Far West nella Bassa Bresciana
E che dire dell’esecuzione di Adolfo Pedana di Villa Literno, trovato incaprettato, nel novembre del ‘95, nella sua auto abbandonata nelle campagne di Lonato e data alle fiamme da persone rimaste senza identità? Negli anni, però, Brescia diventò non solo terra di scorribande, ma anche frontiera di conquista per gli interessi economici di chi aveva soldi sporchi da riciclare. Così in una serata da Far West nella Bassa bresciana (era il settembre del ‘98) si scoprì che l’uomo freddato nel parcheggio di un centro commerciale a Roncadelle e quello bruciato nell’auto nelle campagne di Brandico erano un ex manager della municipalizzata di Taranto e un avvocato pugliese interessati all’acquisto di alcuni hotel sul lago di Garda e uccisi da un boss di Marcianise in soggiorno obbligato nel Bresciano. Regolamenti di conti tra gruppi di fuoco anche se, è noto, gli affari veri si fanno in silenzio e le aziende si conquistano senza clamori. Tra un sub appalto e un’operazione finanziaria. Tra connivenze e coperture. Perché si sa: il denaro non ha odore.

mtoresini@rcs.it
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