«Separazione tra carriere di polizia giudiziaria e servizi segreti per non minare credibilità delle indagini»
Ai media è sfuggito che il 4 novembre 2014 il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e il sostituto procuratore Roberto Pennisi si sono recati in audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Nel post di mercoledì 21 gennaio ho dato spazio alle convinzioni di Pennisi sul vero, presunto o falso affondamento delle navi dei veleni a largo delle coste calabresi da parte della ‘ndrangheta. Il 22 gennaio ho trattato della drammatica ricostruzione della criminalità di natura ambientale e del ruolo di Cosa nostra e ‘ndrangheta che si inseriscono nel ciclo legale del trattamento dei rifiuti. Accade ovunque, anche in Piemonte e Lombardia, dove la ‘ndrangheta regna. Il 23 gennaio ho proseguito sulla falsariga con specifico riferimento alla provincia di Brescia perché, proprio ad essa, Pennisi riserva non poche riflessioni e non poche stoccate (si vedano link a fondo pagina).
Oggi si cambia registro e si passa a vedere quanto ha riferito Roberti su una domanda specifica che gli è stata posta dal presidente della Commissione, Alessandro Bratti (Pd) sui rapporti tra malavita organizzata e servizi segreti.
LA DOMANDA DI BRATTI
La domanda del presidente è molto articolata e vale la pena trascriverla: «Vorremmo capire quali sono le attività che state svolgendo e quali sono le vostre conoscenze rispetto al tema di questa collusione che c’è stata, secondo quello che riportano i giornali, tra organi di Stato, in particolar modo i servizi, e malavita organizzata, soprattutto in alcune situazioni che hanno visto questo Paese, o alcune sue regioni, in grande emergenza. Oggi ci sono anche importanti processi in corso.
Noi vorremmo capire se questi collegamenti hanno un loro fondamento o se, invece, sono frutto di una letteratura un po’ fantasiosa. Dalle segnalazioni che noi abbiamo non ci sembrano frutto di fantasie, ma, purtroppo, di situazioni assolutamente reali, che fanno parte magari della storia, ma su cui sarebbe proprio compito di una Commissione d’indagine, a questo punto, far luce. Vorremmo capire quali sono le attività che state svolgendo e quali sono le vostre conoscenze rispetto al tema di questa collusione che c’è stata, secondo quello che riportano i giornali, tra organi di Stato, in particolar modo i servizi, e malavita organizzata, soprattutto in alcune situazioni che hanno visto questo Paese, o alcune sue regioni, in grande emergenza.
Oggi ci sono anche importanti processi in corso. Noi vorremmo capire se questi collegamenti hanno un loro fondamento o se, invece, sono frutto di una letteratura un po’ fantasiosa. Dalle segnalazioni che noi abbiamo non ci sembrano frutto di fantasie, ma, purtroppo, di situazioni assolutamente reali, che fanno parte magari della storia, ma su cui sarebbe proprio compito di una Commissione d’indagine, a questo punto, far luce».
LA RISPOSTA DI ROBERTI
Roberti, al quale non si può non riconoscere uno stile franco, risponde senza reticenze e, anzi, ponendo a sua volta nuovi interrogativi fonti di riflessione. Prima, però, una sua premessa obbligata: «Vorrei capire bene che cosa si intende per collusioni, perché che i servizi abbiano rapporti con la malavita organizzata è normale, fa parte del loro lavoro. Il problema è che non venga violata la legge, se non nei limiti in cui la stessa legge istitutiva relativa ai servizi lo prevede».
IL VERO RISCHIO
Fatta la premessa, Roberti fa presente che il pericolo è un altro. «Il pericolo vero è un altro – dirà senza mezzi termini ai commissari presenti – e nasce dalla possibilità di soggetti appartenenti agli organismi di polizia giudiziaria di transitare senza soluzione di continuità negli organismi investigativi di informazione e sicurezza, cioè nei servizi segreti, con tutto il bagaglio di conoscenze investigative e giudiziarie che hanno acquisito nel corso del loro servizio di polizia giudiziaria.
Trasferire nei servizi queste conoscenze, che molto spesso attengono, e lo abbiamo verificato, con dati di indagine ancora coperti dal segreto, impiegare queste conoscenze segrete nel rapporto con la malavita, come spesso abbiamo verificato, è reato. Questo è inammissibile e mina molto spesso, ancora adesso, la credibilità e anche la tenuta delle indagini giudiziarie. Questo, secondo me, è il vero problema. Poi è chiaro che bisogna vedere caso per caso che tipo di collusioni e che tipo di reati si svolgono, certamente».
Poi, prima di tornare all’argomento, una piccola divagazione che poi tanto divagazione non è: «io mi sono occupato dell’unica vera trattativa consacrata in sentenze, ossia la trattativa per il rilascio dell’assessore Ciro Cirillo, sequestrato nel 1981 dalle Brigate rosse. La trattativa che si instaurò tra lo Stato, attraverso i servizi segreti e anche alcuni esponenti politici, e le Brigate rosse, con la mediazione di Raffaele Cutolo, è stata confermata da una sentenza definitiva dalla Corte d’appello di Napoli. Finora è l’unica trattativa vera Stato, mafia e brigatisti di cui si abbia conoscenza. Poi vedremo l’esito di altri processi, nonché delle altre e più attuali trattative».
IL DITO NELLA PIAGA
Sollecitato dal commissario Enrico Buemi che vuole conoscere l’idea del capo della procura nazionale antimafia sul modo in cui impedire il rapporto in continuazione tra polizia giudiziaria che si trasferisce ai servizi, Roberti risponde così: «Secondo me, dovrebbero essere due settori completamente diversi e impermeabili, o quantomeno bisognerebbe… ». E qui Boemi prova a concludere la frase con interrogativo incluso: «…pensare anche alla separazione delle carriere?». E Roberti non si lascia pregare: «Sì, alla separazione delle carriere o quantomeno a un periodo di purificazione, di “purgatorio”, per chi sta in polizia giudiziaria, in modo che non venga impiegato, per un dato periodo, prima di passare nei servizi, in attività investigative dirette».
Beh, non c’è che concordare con Roberti. Di più non si può aggiungere perché la parola passa al legislatore che, statene sicuri, farà orecchi da mercante…
tratto dal blog di Roberto Galullo per il Sole24Ore
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