martedì 25 dicembre 2012

Arrestato per droga Antonio Dignitoso, uomo di fiducia del super latitante (?) Scotti, braccio destro di Cutolo


Ex cutoliano cegliese preso con droga
Un arresto da parte dei carabinieri
Un pregiudicato originario di Ceglie Messapica, da lungo tempo legato a famiglie della camorra napoletana, Antonio Dignitoso di 58 anni, è stato arrestato dai carabinieri mentre trasportava in auto un chilo e cento grammi di cocaina, destinati al mercato di Chiaravalle e Falconara Marittima (Ancona). I militari hanno fermato la sua Peugeot presa a noleggio all’uscita del casello di Mondolfo, lungo l’A14.
Portato in caserma, Dignitoso ha finto un malore, ma poi ha attuato un tentativo di fuga andato a vuoto. La droga, proveniente dalla Lombardia, era divisa in due pacchi. In casa dell’arrestato, perquisita praticamente poco dopo l’arresto, gli investigatori hanno trovato anche 20 mila euro. Dignitoso, originario di Ceglie Messapica (Brindisi), ha precedenti per omicidio, soppressione di cadavere e rapina.
Dignitoso era un uomo di fiducia del braccio destro di Raffaele Cutolo, Pasquale Scotti, misteriosamente scomparso molti anni fa. La condanna a 30 anni di carcere per omicidio se la prese nell’ultimo maxi-processo alla camorra celebrato con il vecchio rito, processo in cui un altro ergastolo fu inflitto a Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere.
L'introvabile Pasquale Scotti, braccio destro di Cutolo
Il procedimento si concluse nel 2005 con 13 condanne a vita, 16 assoluzioni e 8 a pene che variavano da uno a 30 anni di reclusione, e durò ben sedici anni, ed era a carico di 33 esponenti della Nco di Raffaele Cutolo. Solo l’istruttoria dibattimentale durò sei anni. Il procedimento era arrivato alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere nel 1989. I fatti contestati agli imputati, tra cui, il capo dell’organizzazione Raffaele Cutolo, ed esponenti di rilievo dello stesso clan, Pasquale Scotti, Mauro Marra e Raffaele Catapano, si riferivano a episodi accaduti tra il 1982 e 1983 in piena guerra tra la Nco e la Nuova Famiglia.
Antonio Dignitoso in quel processo risultava come pentito. Nell’agosto del 2006 fu poi arrestato dai carabinieri a Falconara Marittima, durante un altro trasporto di droga: 200 grammi di cocaina e 100 di hascisc, in parte nascosti a bordo di una Renault Megane.  Dignitoso è sposato con Teresa Vanacore, sorella del boss napoletano della cocaina Giulio Vanacore, a sua volta finita in manette nel 2009 per spaccio: era uscita di casa, a Falconara, con 220 grammi di cocaina nella borsa.
di Mar.Orl. » 22 dicembre 2012 alle 19:37
articolo tratto da Brindisi Report

Luigi Necco, il giornalista sportivo gambizzato dalla NCO per aver paragonato il calcio alla camorra.

Luigi Necco, il giornalista sportivo gambizzato dalla NCO
Nell'ottobre del 1980, Antonio Sibilia, presidente dell'Unione Sportiva Avellino, si reca accompagnato da Juary Jorge dos Santos Filho (giocatore dell'Avellino) a una delle tante udienze del processo che vede imputato Raffaele Cutolo, capo incontrastato della Nuova Camorra Organizzata. Durante una pausa saluta il boss con tre baci sulla guancia e gli consegna tramite Juary una medaglia d'oro con dedica («A Raffaele Cutolo dall'Avellino calcio»). Giustificherà il suo omaggio con queste parole: « Cutolo è un supertifoso dell'Avellino; il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione »

L'intera vicenda suscita l'interesse giornalistico di Luigi Necco, che ne parlerà a 90º minuto. Il giorno dopo viene gambizzato in un ristorante di Avellino per mano di tre uomini inviati da Enzo Casillo, detto 'O Nirone,   luogotenente di Cutolo fuori dal carcere. A tale gesto esemplare Cutolo si disse contrario ma Casillo agì ugualmente. La storia non può più passare inosservata ed Antonio Sibilia finisce nel mirino della magistratura.


Scattano, per lui, la detenzione ed un lungo processo per associazione per delinquere di stampo mafioso iniziato il 17 maggio 1984, con l'accusa di essere stato il mandante dell'agguato contro il procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi, avvenuto il 13 settembre 1982; il processo si concluderà con la totale assoluzione dell'imprenditore irpino.
Il dirigente sportivo
Antonio Sibilia

Antonio Schirato, Clemente e Pasqualino Perna, Ciro Starace, i quattro della Nco di Avellino


29 maggio 1983. L’evasione degli emissari della Nco


 – Quel 29 maggio 1983 era una calda domenica di primavera inoltrata: a mezzogiorno dal muro di cinta del carcere di via Dalmazia che si trova al centro di Avellino (il carcere Borbonico oggi diventato museo), si calano uno alla volta quattro detenuti appartenenti alla Nco di Cutolo, la nuova camorra organizzata. Un commando armato di complici in moto li aspetta fuori. Uno dei tre, il killer Antonio Schirato (30 anni) non riesce però a scappare, perché cade e si frattura un femore. Gli altri tre, i cugini Clemente e Pasqualino Perna (di 29 e 32 anni) e Ciro Starace (29 anni), si dileguano: Starace verrà arrestato, casualmente, quattro mesi più tardi, dopo aver forzato un posto di blocco dei carabinieri.
Tutti e quattro erano considerati gli emissari della nuova camorra organizzata in Irpinia. Nel giro di 24 ore il procuratore capo di Avellino, Antonio Gagliardi, emette una lunga serie di provvedimenti giudiziari, ipotizzando pesanti responsabilità a carico dei sette agenti di polizia giudiziaria e dello stesso direttore del carcere Umberto Solimene: quattro mesi dopo vennero condannati in primo grado per il reato di “procurata evasione colposa” (con pene dai sei mesi ad un anno).
Erano gli anni della guerra di camorra, gli anni in cui aveva già raggiunto l’apice l’impero di Raffaele Cutolo (o’ professore), ed erano anche gli anni di piombo, anni in cui si respirava violenza quotidianamente, dove magari era più difficile resistere alle minacce di una camorra che sembrava invincibile. Anche qui in Irpinia. Erano infatti gli anni in cui il sindaco di Quindici dell’epoca, Raffaele Graziano, venne destituito dal prefetto per sospetti rapporti con la camorra (proprio con Cutolo). Un sindaco, l’allora 42enne Raffaele Graziano, che tra l’altro era stato eletto mentre era in carcere, sospettato di essere il mandante di un delitto.
L’anno prima, nel 1982, il procuratore Gagliardi era stato ferito in un attentato camorristico lungo la strada Nazionale che collega Monteforte al Baianese. Nel novembre del 1981 Antonio Schirato, quello con il femore rotto, aveva gambizzato, su ordine del numero due della Nco Enzo Casillo (Cutolo era contrario) il giornalista sportivo della Rai Luigi Necco. Si era azzardato ad accostare, per la prima volta in quegli anni, il mondo del calcio a quello della malavita organizzata. Erano gli anni dell’Avellino in serie A. La camorra si era riversata in città per succhiare i soldi che dovevano servire per i terremotati. Non se ne è più andata.
Articolo tratto da Avellino Ottopagine

mercoledì 19 dicembre 2012

Oggi, 20 Dicembre 2012, Raffaele Cutolo compie 71 anni.

E sono 71 anni. Il protagonista del nostro blog compie gli anni, li compie in galera, dovi si trova internato secondo le regole del 41 bis, norma da tutte le persone di buon senso definita contro i diritti fondamentali dell'essere umano. Ci chiediamo come possa una società civile, come si definisce la nostra, tollerare tutto questo. E soprattutto ci chiediamo come si possa tollerare che un uomo viva segregato per più di 50 anni tra quattro mura, senza che gli sia data la possibilità di espiare le proprie colme con una pena alternativa a quella della semplice segregazione. La legge della punizione è quella che trionfa! Altro che riabilitazione e  rieducazione! Certo, Cutolo ha fatto soffrire molta gente, ma è pur sempre un essere umano e gli si deve dare la possibilità di riparare, di vedere, toccare con mano le dinamiche di vita quotidiana al fine di un sincero e un (veramente utile alla giustizia) pentimento.





venerdì 14 dicembre 2012

I codici della camorra: da Raffaele Cutolo a Paolo Di Lauro


Si può parlare, senza aprir bocca. Si può comandare o minacciare, senza aprir bocca. Lo sanno bene quelli che vivono nei quartieri-Stato dove la camorra ha cambiato non solo le regole di vita, ma anche quelle della comunicazione, piegandole – le une e le altre – alle proprie sporche esigenze. Chi abita alle latitudini della Bestia capisce presto come decifrare i segnali impercettibili del linguaggio invisibile dei clan. Un linguaggio d’amore e morte. Un linguaggio fatto di gesti, di sguardi, di una grammatica del potere criminale che gli investigatori hanno dovuto, a loro volta, imparare a decifrare per intercettare i messaggi della malavita, per sabotarne piani e per stroncare l’evoluzione della specie (mafiosa). Il bacio, ad esempio. Quello che Raffaele Cutolo-Ben Gazzara, nel film “Il camorrista”, stampa sulle labbra del picciotto che lo ha tradito ha il significato di una sentenza capitale, una sentenza inappellabile. Quello che un affiliato agli scissionisti ha rubato, invece, a Daniele D’Agnese – piccolo kapò di Secondigliano – davanti alla Questura di Napoli (8 giugno 2011) ha tutt’altro sapore: è un invito
 a non mollare, a non lasciarsi travolgere dai dubbi e dai timori. A diradare la nebbia della paura della galera. A non cedere alla tentazione di pentirsi. Quel bacio è un’assicurazione sulla vita e un impegno di continuità. Così com’era un impegno di continuità nella gestione del potere criminale il gesto di Carmine Alfieri (nella foto a destra), vecchio capocamorra degli anni Ottanta, di portare con sé una coppola rossa al momento dell’arresto. Quel copricapo stretto tra i pugni ammanettati aveva un solo scopo: tranquillizzare i soldatidella famiglia e ribadire che il capo sarebbe rimasto lui, anche in carcere. Che poi Alfieri abbia deciso, di lì a qualche mese, di iniziare a collaborare con la giustizia, raccontando vent’anni di orrore ai magistrati, è un’altra storia. Ci sono poi le azioni, i segni che vengono affidati non a un singolo momento ma alla memoria. Nel mondo della camorra uno spazio importante, in questa direzione, l’hanno conquistato i tatuaggi: la famiglia Amato, fondatori del clan degli scissionisti, ha come simbolo uno scorpione perché è il segno zodiacale del capoclan, Raffaele ’o spagnolo. I giovani secondiglianesi che trafficano cocaina ce l’hanno marchiato sui bicipiti o, molto più frequentemente, sull’avambraccio, e qualcuno, raccontano gli investigatori, se l’è fatto disegnare finanche sulla targa dell’auto, a dimostrazione imperitura della fedeltà al capo e di senso di appartenenza. In economia, tutto questo si chiamerebbe brand, ma questo i camorristi non lo sanno e usano mezzi un po’ più primitivi per far passare l’idea. Regalando un Rolex Daytona e un motorino Sh ai nuovi affiliati, quelli che hanno deciso di entrare nella chiesa con la speranza di poter diventare, un giorno, killer o capopiazza. Un capopiazza come Paolo Gervasio, soprannominato zio Paolo, potente e spregiudicato broker del narcotraffico sulla rotta Barcellona-Napoli. Un tipo visionario, che – raccontano le indagini della Dda – aspirava a diventare il re della cocaina a Napoli tanto da farsiscrivere su un muro, a pochi metri dai depositi di droga del suo gruppo, a caratteri cubitali: Zio Paolo = Pablo Escobar. Un delirio di onnipotenza che ha messo gli uomini del nucleo investigativo di Castello di Cisterna e gli 007 dei servizi segreti civili sulle sue tracce lungo una campagna di caccia che si è conclusa con l’arresto inevitabile di zio Paolo.Spiega un investigatore: “Quella frase era un po’ come un’iscrizione su un monumento: era ammonizione per i nemici (perché zio Paolo poteva diventare sanguinario come il suo idolo colombiano) e incoraggiamento per gli amici (a non temere alcunché perché c’era lui a proteggerli)”. Quell’iscrizione è diventata la frase finale sui titoli di coda della sua assurda vita da trafficante di morte. Navigando su Google street view ancora oggi si possono notare, dalle parti di corso Secondigliano, slogan inneggianti alla faida tra la potente famiglia Di Lauro e gli spagnoli di Raffaele Amato (“Il leone è ferito, ma non è morto”, un chiaro riferimento al boss Ciruzzo ’o milionario, condannato a trent’anni di carcere per droga, o ancora “Benvenuti alla scissione”). Si tratta di messaggi cifrati, che soltanto i picciottiriescono a interpretare. È una litania che vola sopra la testa dei passanti, che si disperde nell’aria senza bisogno di onde elettromagnetiche e sintetizza, ben più dei 160 caratteri di un sms, che qualcosa sta cambiando da quelle parti o che qualcosa è già cambiato. Come quando una mano anonima, armata di una bomboletta spray, segnò sul metallo arruginito di una vecchia saracinesca: “Cosimo e Vincenzo”. Due nomi come tanti, altrove, ma non in quel luogo, non in quel tempo. Cosimo e Vincenzo sono i figli di Ciruzzo ’o milionario e quel messaggio indicava, a mo’ di colonne d’Ercole, che quello era territorio sotto il protettorato del clan. Ultimamente si è favoleggiato, invece, sui significati nascosti della (questo sì, strana) coincidenza che accomuna un po’ di latitanti arrestati negli ultimi tempi: vestono tutti lo stesso tipo di maglia, con su impressa le facce ribelli e maledette di James Dean e di Steve McQueen. Qualcuno ha ipotizzato che si tratti di una informazione cifrata, anche se gli stessi investigatori non sono riusciti, ancora oggi, a darsi una risposta convincente. Cos’è? Un invito a continuare con la vita spericolata? È una divisa sociale del clan? E che c’entrano gli attori? Di certo c’è solo una cosa: non portano bene a chi le indossano.
Servizio in Cronana tratto dal sito Notix.it