sabato 28 marzo 2015

Lo Stato e la camorra, Cutolo e Mancino: Amato racconta l’altra trattativa

Il giornalista: il tentativo fallì per il no della magistratura. Aufiero: non conosco il contenuto dei colloqui di Cutolo con i pm salernitani

Lo Stato e la camorra, Cutolo e Mancino: Amato racconta l’altra trattativa
C'è un'altra trattativa parallela a quella tra Stato e Mafia, che si svolge contestualmente in Campania e che a differenza di quella palermitana, gode della luce del sole. E' latrattativa Stato Camorra raccontata dal giornalista e scrittore Massimiliano Amato in"L'altra trattativa. La vera storia del fallito accordo Stato - camorra", libro presentato questo pomeriggio al circolo della stampa. A discuterne con l'autore Marco Cillo di Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, l'avvocato Gaetano Aufiero Presidente della Camera Penale di Avellino e Gianni Colucci giornalista de Il Mattino.
«Nel 1994 - racconta Amato - mentre monta l'onda dei pentiti, un gruppo di boss della camorra si inventa un'altra strada per prendere le distanze dall'organizzazione criminale: la dissociazione che, a differenza del pentimento, è la presa di distanza completa dalla vecchia vita senza chiamate di correità. Della vicenda si fanno carico due sacerdoti: l'ex cappellano del carcere di Poggioreale e un alto prelato molto noto all'epoca per le sue battaglie contro la criminalità organizzata, il vescovo di Acerra don Antonio Riboldi. Dietro questa operazione c'è la consulenza giuridica dell'avvocato Saverio Senese, difensore di Angelo Moccia il numero tre della Nuova Famiglia, il camorrista che di fatto cerca di portare a compimento questa operazione che si infrange contro il no della magistratura».
Figura chiave del fallimento di questa trattativa è l'allora Ministro dell'Interno Nicola Mancino, il cui volto si affaccia dalla copertina del libro. «Mancino – racconta Amato - prima decide di fare un'esplorazione della situazione, infatti manda in Campania il capo della polizia Vincenzo Prrisi, poi si accorge che la strada della dissociazione è impraticabile. Mancino diede parere negativo dopo essersi accertato che la richiesta di don Riboldi e di quanti si erano proposti per la trattativa, non era attuabile. Si mostra un po' più disponibile invece l'allora ministro della giustizia Giovanni Conso ma in quel momento, con i partiti e le istituzioni travolti dalle inchieste di Mani Pulite, l'unico corpo dello Stato che ha ancora una qualche legittimità è la magistratura e di fronte al secco no di quest'ultima la trattativa si arena».
Raffaele Cutolo in tribunale
Tutto parte con una notizia bomba data in tv da don Riboldi il 16 febbraio del '94 secondo cui 5mila mafiosi erano pronti a pentirsi. «Una delle caratteristiche di questa trattativa è che si svolge alla luce del sole, gode della ribalta mediatica mentre quella tra Stato e cosa nostra, che ha dato vita al processo in corso a Palermo, si sviluppa in silenzio. Di fronte al no della Procura distrettuale antimafia di Napoli, questi 5mila mafiosi si ridurranno ad uno solo. L'unico dissociato resta infatti Angelo Moccia che proprio in questi giorni ha finito di scontare il suo debito con la giustizia. In questo clima si inserisce anche una vicenda molto strana, un tentativo di pentimento di Raffaele Cutolo che in quel momento ha perso la sua guerra, la Nuova camorra organizzata è stata sconfitta dalla Nuova Famiglia. Cutolo fa trapelare la volontà di raccontare la sua verità ed inizia a riempire verbali di interrogatori. Una notte quando stanno per trasferirlo in una località protetta per porre in essere il suo passaggio tra i collaboratori di giustizia, si ferma. Ed è una strategia che negli anni successivi adotterà spesso».
Amato traccia le differenze tra quella trattativa e la più nota Stato-Mafia: «La trattativa di Palermo – dice - metteva in discussione equilibri importanti, veniva subito dopo la strage di Capaci, immediatamente prima della strage di via D'Amelio e resta l'ipotesi investigativa secondo la quale Borsellino sia stato ucciso proprio perché aveva capito.Quella campana invece era una trattativa molto più innocua, perché la camorra in quel momento era in una condizione di generale smobilitazione, i grandi capi come Pasquale Galasso e Carmine Alfieri si erano pentiti. Ma soprattutto perché la camorra si era trasformata, era diventata affare. Oggi infatti non ha più bisogno di trattare perché camorra, economia e politica in certe circostanze si sono fuse. La Campania è la regione dove il tessuto democratico è maggiormente a rischio e quindi mi auguro che per le prossime candidature alle regionali tutti i partiti, di centro sinistra e centro destra, applichino il codice etico, mettano in campo liste pulite perché la regione in questo momento, grazie ai fondi europei, è il più grande centro di spesa».
Un libro interessante per l'avvocato Aufiero, che è tra i difensori di Raffaele Cutolo. E proprio sull'ultimo capitolo dedicato al suo assistito avanza qualche perplessità: «credo che tra questa proposta di trattativa e la vicenda Cutolo ci sia solo una coincidenza temporale ma non sono collegate. Non ero presente ai suoi incontri con i magistrati salernitani quindi non ne conosco i contenuti, così come non conosco i motivi che abbiano portato Cutolo, eventualmente, a tornare sui suoi passi. So per certo che dopo alcune settimane di questi incontri, avvenuti in modo interlocutorio senza la presenza di un avvocato, furono interrotti nonostante fosse già stato predisposto il programma di protezione».
di Rossella Fierro
fonte: IlCiriaco.it