martedì 6 agosto 2013

Raffaele Cutolo e la petizione per limitargli le restrizioni del carcere duro

Don Tonino Palmese, uno dei fondatori di Libera e da anni sacerdote dall'impegno sociale, cita Zaccheo il pubblicano, figura del Vangelo di Luca. E dice: "La redenzione significa restituzione del maltolto, come Zaccheo. Può significare anche restituzione della verità, su tutto ciò di orribile si è causato. Penso alla restituzione di verità per le vittime".


Fa sensazione l'iniziativa del "Centro Don Diana" di Saviano di Nola, che ha proposto online una petizione per ridurre il carcere duro a Raffaele Cutolo. Il fondatore della Nuova camorra organizzata, oggi 73enne, ha trascorso 50 anni in carcere e 21 al 41-bis. E loro, quelli del centro, con in testa Francesco Franzese, dipendente del Comune di Frattamaggiore, ne fanno "questione di umanità": chiedono misure alternative per il boss che si faceva chiamare "il Vangelo", mutuando codici e regole della camorra ottocentesca e della 'ndrangheta calabrese.


C'è spazio per redenzione e umanità, per chi non ha mai voluto collaborare con la giustizia ma, anzi,
assai spesso si è beffato delle istituzioni? Quando ancora non gli era stata concessa l'inseminazione artificiale per la moglie, Cutolo aveva incontrato alcuni magistrati, in testa Franco Roberti oggi procuratore nazionale antimafia, che gli proposero di collaborare. Lui fu possibilista, poi consultò la moglie Immacolata e la sorella Rosetta e fece marcia indietro. "Le mie donne non hanno voluto, scusatemi", disse.


La lotta alla mafia prevede il carcere duro, restrizioni pesanti per i detenuti. Anni fa, i radicali fecero uno studio su chi era al 41-bis. Oggi si parla di far tornare a casa il boss Bernardo Provenzano, molto malato. Anni fa, Lorenzo Nuvoletta fu scarcerato pochi giorni prima di morire di cancro. 


La mafia, la camorra, sono "una montagna di merda" si legge spesso in Rete. Un cancro mortale, un peso asfissiante per tutta la società italiana. E Cutolo ne è stato protagonista importante per anni. Probabilmente, e fanno testo il film, i libri, la canzone di De Andrè su di lui, il camorrista più importante del secondo dopoguerra. L'uomo che, attraverso centinaia di morti all'anno, con guerre sanguinose e lacrime di vittime innocenti, voleva centralizzare la camorra campana facendone un potere socio-criminale.


Centinaia di giovani disperati ne furono ammaliati, la repressione non fu semplice. "Siamo dalla parte delle vittime, come i familiari di Mimmo Beneventano, Marcello Torre, Pasquale Cappuccio, tanto per citarne qualcuno", dice Geppino Fiorenza, referente campano di Libera. Il coro di no è quasi unanime. Del resto, l'iniziativa ha raccolto non più di una decina di consensi in Rete. Cutolo non è malato, la redenzione resta fatto individuale di fede senza riflessi sociali collettivi. Da qui il no diffuso. 
fonte: Il Mattino
Pubblicato il 03 Agosto 2013 alle 13:33

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