venerdì 8 giugno 2012

Cutolo, l'ultimo desiderio "Il mio seme per un figlio"

L'intervista. Il boss dal carcere: "Pago i miei errori con dignità
non rinnego ciò che ho fatto. Sono coerente con me stesso" 


Di PAOLO BERIZZI (La Repubblica)


Raffaele Cutolo

NOVARA - È un pomeriggio di maggio, una domenica. Il cancello del supercarcere di Belluno si schiude davanti a tre uomini. Tre professionisti. Due medici - un chirurgo e un urologo - e un avvocato. Con loro doveva esserci anche un anestesista, ma quando all'ultimo ha saputo lo scopo del viaggio, e, soprattutto, chi era il paziente da trattare, non se l'è sentita. E si è tirato indietro. Fuori dal carcere una donna attende in macchina. È la giovane moglie del detenuto per il quale si sono mossi i medici. Nel bagagliaio dell'auto, accanto alle sporte con dentro cibo e vestiti, ci sono una bombola di azoto e una piccola cella frigorifera. Serviranno per custodire, tenendolo in vita, il seme di un uomo. Che non è un detenuto qualunque. Si chiama Raffaele Cutolo, detto il Professore. Il boss pluriomicida e pluriergastolano (otto), il fondatore e leader messianico della Nuova camorra organizzata. Considerato l'uomo più potente e carismatico nella storia della criminalità campana, un tempo a capo di un esercito di settemila uomini, Cutolo ha sulle spalle 43 anni di carcere (spezzati da due brevi latitanze) ed è in totale isolamento dal 1982. Lo Stato ha concesso a lui e alla moglie Tina Iacone l'autorizzazione per l'inseminazione artificiale. Per avere quel figlio che sognano da quando, nell'83, si sono sposati nel carcere dell'Asinara. Un provvedimento unico per un detenuto sottoposto al carcere duro del 41 bis, e in più, con un nome che ancora oggi, nonostante quasi mezzo secolo di pena scontata in molti carceri italiani, rievoca una stagione di sangue e violenze, una delle più buie nella storia del crimine del nostro paese. A raccontare, per la prima volta, la storia dell'inseminazione, dell'odissea per cercare di avere un erede, è lo stesso Cutolo. Dal carcere di Novara, dove è recluso da tre anni. Don Raffaele risponde a questa intervista con una lettera, e grazie all'interessamento dei suoi legali, gli avvocati Gaetano Aufiero e Paolo Trofino. Parla del figlio che vorrebbe e di molto altro. Il perché non collaborerà mai con la giustizia. Il suo tentativo di rinascita umana e spirituale. Il fallimento del progetto camorristico. I rapporti coi politici. Il caso Cirillo e le trame oscure che legarono a doppio filo camorristi e esponenti dello Stato. E poi gli affetti, l'amore per la moglie, la fede. Un racconto intenso, sorprendente, dietro il quale c'è un uomo che a 64 anni, fiaccato da una vita trascorsa dietro le sbarre e da condizioni di salute precarie, non chiede sconti, non vuole suscitare pena. Vuole solo "condizioni di vita decenti" e trattamenti che non "ledano la dignità umana".




Cutolo, come sta? "Come un uomo che si prepara a morire in carcere. In pratica vivo dietro le sbarre dal 27 febbraio 1963. Nell'82 Pertini mi spedì nel carcere dell'Asinara, dove trascorsi i giorni più duri della mia vita. Da allora sono totalmente isolato e segregato. Mi hanno applicato il 41 bis quattordici anni fa, appena introdotto. Ma il carcere duro io lo facevo già da dieci anni. Non voglio farmi compatire, né altro. Ho 64 anni. Quasi tutta la mia vita l'ho passata in galera. Pago e continuerò a pagare gli errori che ho fatto, il mio passato scellerato. Però senza mai perdere la dignità. So che mi faranno morire in carcere. E a una fine così, preferisco la pena di morte".

Perché non si è mai pentito?
"Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti agli uomini. Secondo lei è morale fare arrestare cinquecento persone innocenti o colpevoli per andare a letto con la moglie o l'amante, pagati e protetti dallo Stato? Per me riabilitarsi significa essere coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La dignità è più forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio. È da anni che i magistrati provano a convincermi. Nel '94 il procuratore Francesco Greco, per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua moglie. Avremmo potuto avere un figlio. Rifiutai. E sono orgoglioso di aver sempre resistito alla tentazione. Penso che la legge sui pentiti sia un'offesa alla gente onesta e alle famiglie delle vittime".

Ci parli di quel figlio che tanto desidera e per il quale le è stata concessa l'inseminazione artificiale.
"Prima di sposare mia moglie la avvertii: pensaci bene, perché con me è come se fossi vedova a vita. Ci siamo dati un solo bacio in 23 anni e lei è ancora lì che mi aspetta. Vive nella speranza che un giorno, chissà quando, uscirò da qui. Vorrei tanto regalarle un figlio. Ma purtroppo le gravidanze, fino ad ora, non sono andate a buon fine. Ci abbiamo provato due volte. Non ci arrendiamo".

Come vive in carcere?
"Ogni mattina quando mi sveglio faccio il segno della croce e accompagno il funerale del mio cadavere. Passo il tempo pregando, leggendo, scrivendo. Soprattutto poesie, la mia passione. Ho dei problemi agli occhi e alle mani. Il carcere toglie la dignità e a lungo uccide anche l'intelligenza. Le misure previste dal 41 bis prevedono ispezioni corporali per i colloqui. Ti passa la voglia di ricevere anche tua moglie o gli avvocati".

Lei dice di essersi pentito davanti a Dio, di aver definitivamente chiuso con il suo passato. Il vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro, parla di una "chiara e profonda conversione". Che cosa significa?
"Quando mi sono sposato l'ho giurato sull'altare di Dio: basta con la mia vita passata. Io non rinnego niente di quello che ho fatto. Sono coerente con me stesso. Ho fatto del male, ho seminato odio, violenza, morte. E quindi devo sopportare tutto. Ma da molti anni ho chiuso con la camorra. Nel mio animo non ci sono sentimenti di vendetta e di odio. Ho perso un figlio (Roberto, ucciso in un agguato ad Abbiate Guazzone nel 1990, ndr), mio suocero, mio cognato, e tanta altra gente cui volevo bene. La camorra è stata una mia scelta, un ideale di vita. Ma è un progetto che è fallito. E per il quale sto ancora pagando. Nonostante sia stato io a salvare la vita a un uomo dello Stato, l'assessore regionale democristiano Ciro Cirillo" (sequestrato dalle Brigate Rosse a Torre del Greco il 27 aprile del 1981, e poi liberato - secondo l'ordinanza dei giudici - "alla fine di una lunga e serrata trattativa tra apparati dello Stato e il boss Raffaele Cutolo a cui è stato chiesto di intervenire presso le Br per ottenere la liberazione immediata di Cirillo", ndr).

Dunque mi vuol far credere che Cirillo ebbe salva la vita grazie al suo intervento? 
"Sì. Mentre era in corso il sequestro vennero da me, in carcere ad Ascoli Piceno, un sacco di persone: politici, agenti dei servizi segreti, mediatori. Un influente politico della Dc mi disse che dovevo intervenire con ogni mezzo per salvare la vita dell'assessore. Che in cambio avrei ottenuto il controllo di tutti gli appalti della Campania. Cirillo fu liberato".

Quel periodo coincide con la massima consacrazione del suo potere. Lo Stato scese a patti con la Nuova camorra organizzata. Dicono che lei ricevette in cambio un sacco di soldi e di favori. 
"I soldi in carcere li usavo per comprare da mangiare e da vestire ai detenuti. Anche ad Alì Agca, l'attentatore del Papa. Ma il caso Cirillo, chissà perché segnò definitivamente il mio destino. Per ringraziamento mi hanno mandato "in ritiro spirituale"".

Che rapporti ha avuto coi politici? E che cosa pensa della politica? 
"Ne ho conosciuti molti. Con qualcuno sono sceso a patti. I politici non sono molto diversi dai camorristi. Pensano al potere, al consenso, all'arricchimento. Ma dei bisogni della gente se ne fottono".

Ha mai votato?
"Mai. Né prima del carcere né dopo".

La camorra oggi che cos'è?
"Non si può più chiamare camorra. Sono cani sciolti, mezze tacche. Non hanno rispetto di niente e di nessuno. Ammazzano anche le donne e i bambini. E così non fanno altro che il gioco del potere".

Su di lei è stato fatto un film ("Il camorrista" di Giuseppe Tornatore) e sono stati scritti libri (uno su tutti: "Un'altra vita" di Francesco De Rosa). Per molti guappi della camorra lei è ancora un modello, un'icona. Certi ragazzini a Napoli scaricano sul cellulare le suonerie del film che ha per protagonista Raffaele Cutolo. A questi giovani vuole dire qualcosa?
"Studiate, lavorate. Dimostrate che siete capaci di diventare ottimi manager. Credetemi, il crimine non paga".

Cutolo, deve chiedere perdono a qualcuno?
"Il perdono si chiede espiando la pena, e basta".

(24 febbraio 2006)

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