giovedì 19 dicembre 2013

Trasferito Lorusso, il detenuto che parlo’ con Riina

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di Savino Percoco - 18 dicembre 2013
Alberto Lorusso, il detenuto a cui Totò Riina (foto) ha espresso le minacce stragiste destinate ai pm legati alla trattativa Stato-Mafia e in sottolineata maniera ad Antonino Di Matteo, è stato trasferito ad altro penitenziario. Il “presunto” boss pugliese era la cosiddetta "dama di compagnia" (nel gergo carcerario) con cui negli ultimi mesi, il capo di Cosa nostra ha trascorso le due ore di socialità giornaliere consentite dal regime carcerario 41 bis. Nei giorni scorsi, su disposizione del Dap, è anche stato interrogato dal procuratore capo di Palermo Messineo, e dal suo aggiunto Teresi.
Ma chi è Alberto Lorusso?
 Appaiono sempre più contrastanti e confusionarie le notizie relative alla sua identità. Da molti è indicato come boss di rilievo della Scu ma, navigando attraverso i motori di ricerca web, ad esclusione delle recenti vicende, pochi sono i cenni che lo riguardano. Eppure è lui l’unico tra i criminali detenuti nel supercarcere di Opera ad aver raccolto le spaventose esternazioni di Riina conquistandosi la sua fiducia.
Secondo quanto si è appreso, il ruolo di Lorusso è ancora sotto esame. I pm di Palermo sospettano che possa trattarsi di un infiltrato dei servizi segreti, posto a contatto con Riina nell'ambito di una strategia ancora oscura. 
Difatti, chi ha sbobinato le intercettazioni, lo descrive come una persona curiosa e conscia di cosa chiede. 
Dopo le confidenze dello scorso giugno, raccolte da un agente penitenziario a cui Riina avrebbe affermato che il suo arresto era il risultato di una collaborazione tra Provenzano e Vito Ciancimino e che la proposta di una trattativa fu avviata dallo Stato, il pm Di Matteo dispose un più severo monitoraggio delle intercettazioni. 
Furono quindi, piazzate delle “cimici” da parte della Dia nel luogo dove il boss era solito appartarsi con Alberto Lorusso, durante l’ora d’aria. 
Sorprende quindi, che il capo di Cosa nostra, composto nell’inflessibile silenzio per oltre vent’anni consapevole delle rigide ispezioni, improvvisamente perda il controllo con un presunto mafioso pugliese privo di mediatica “fama” criminale. Altrettanto sospetto è l’interesse di Riina nei confronti del pool antimafia se consideriamo il carcere a vita ormai definitivo e che l’aggiunta di ergastoli derivanti da nuovi processi poco cambierà al suo curriculum penitenziario. 
Certo non va esclusa la prima tesi, che vede Alberto Lorusso ai vertici della Sacra corona unita. Per meglio comprendere questo percorso, facciamo qualche passo indietro, alla nascita di quella che nell’ordine, viene considerata la quarta mafia italiana. Le origini della Scu sono ancora poco chiare, ma una prima ipotesi, narra che il boss camorrista Raffaele Cutolo, nel 1981 costituì un’organizzazione associata alla mafia campana nel territorio pugliese. Di contro, ne seguì un’altra composta da esponenti locali indispettiti dal suo tentativo di espansione. 
Una seconda ipotesi invece, ritiene che la Scu sia stata fondata dallo ‘ndraghetista Giuseppe Rogoli nel carcere di Trani con il consenso del suo capo bastone Umberto Belloco. A causa del suo stato di detenzione, Antonio Antonica, fu nominato responsabile unico delle attività illecite che si svolgevano nell'area brindisina col compito di nominare anche dei capi zona.
Secondo fonti non sicure, i contrasti tra i due generarono un guerra tra clan in cui perse la vita lo stesso Antonica e nella rifondazione si concordarono dalle modalità di affiliazione più rigide e severe, il cui statuto vide la firma anche del compagno d’aria di Riina. Si presume quindi, che Alberto Lorusso, dal 1987 fosse un potenziale boss di una delle famiglie più rappresentative del brindisino.
Altro fatto curioso a sostegno della prima tesi riguarda il Comune di San Pancrazio Salentino (BR) ove risiede Maria Concetta Riina, figlia del superboss. 
Inoltre, anche Ninetta Bagarella, moglie del capo dei capi, potrebbe raggiungere il paesino del brindisino dove fino agli anni ’90, Alberto Lorusso era considerato al vertice della cosca. 
Coincidenza o segnale di un sodalizio tra la Scu e Cosa nostra?
In attesa che meglio venga chiarita l’identità di Lorusso, sono apprezzabili le affermazioni del Ministro dell’Interno Angelino Alfano, ma è da augurarsi che alle parole seguino celermente i fatti, a cominciare dal “bomb  jammer” ancora non predisposto al pm a rischio vita, Antonino Di Matteo.
Intanto, per venerdì 20 dicembre è prevista a Palermo una manifestazioneprogrammata da cittadini, associazioni e organizzazioni sociali, politiche e sindacali a sostegno del Pm Di Matteo e del pool antimafia.
A tal riguardo, il comitato di presidenza del Csm ha deliberato una delegazione per partecipare alla manifestazione di solidarietà ai pm minacciati. La proposta sarà sottoposta al plenum. In una nota si legge: "Il Comitato di presidenza ha deliberato di proporre al plenum per il prossimo 20 dicembre la visita di una delegazione consiliare guidata dal vicepresidente a Palermo per incontrare i capi degli uffici giudiziari, manifestare la presenza solidale del Csm nei confronti dei magistrati oggetto di intimidazioni e verificare i possibili interventi dell'Organo di governo autonomo a supporto del sereno ed efficiente esercizio della giurisdizione in quel territorio".

giovedì 12 dicembre 2013

Calcio e malavita, il procuratore di Lecce: "La repressione da sola non basta, bisogna cambiare la mentalità

"All'esterno appaiono come benefattori. Danno prestiti a fondo perduto e procurano lavoro. Le vittime di estorsione offrono spontaneamenteregali ai boss e alle loro mogli". Cataldo Motta, procuratore capo di Lecce e nemico numero uno della mafia pugliese, svela il mondo della Sacra Corona Unita in una lunga intervista ad Affaritaliani.it: "In 40 anni si è passati in maniera strisciante dal rifiuto all'indifferenza, dall'accettazione alla condivisione". Se lo Stato non dà lavoro lo si cerca dai clan: "Condannati per mafia trovano spesso posto nelle società di calcio. Lo sport viene usato per due obiettivi: riciclaggio del denaro e consenso sociale". Sul contrasto alla mafia: "Per avere risultati non basta la repressione, serve un cambio di mentalità".Procuratore Motta, qual è il legame tra calcio e malavita?
Il procuratore Cataldo Motta
Noi siamo partiti da un’indicazione che abbiamo avuto di infiltrazioni in alcune società calcistiche del campionato di eccellenza pugliese. Erano coinvolti soggetti già condannati per associazione mafiosa oppure altri soggetti contigui alla criminalità organizzata. Il meccanismo alla base è quello del “dare lavoro”. Abbiamo per esempio rilevato che alcune squadre avevano tra gli steward dei personaggi condannati per associazione mafiosa, magari perché, ahimè, sono quelli che garantiscono meglio l’ordine.

Qual è l’obiettivo dei clan che entrano nel mondo del calcio?

Entrare nel calcio per loro è una scelta molto intelligente. Raggiungono insieme due obiettivi: il riciclaggio del denaro e l’ottenimento del consenso sociale. Da una parte il denaro viene ripulito delle spese della società, come per esempio l’acquisto di calciatori. Dall’altra parte, proprio l’afflusso di soldi e l’acquisto di calciatori migliorano i risultati sportivi e quindi rafforzano il consenso sociale. Le squadre crescono in virtù delle spese di denaro sul cui meccanismo di guadagno è meglio stendere un velo pietoso.

Esiste un legame anche con il mondo degli ultras?

Per quanto riguarda le squadre prese in esame da noi no, anche perché si tratta di calcio minore e le squadre non hanno veri e propri gruppi di tifo organizzato. Il gruppo serio per il quale abbiamo avuto anche la condanna per associazione sovversiva è quello legato all’U.S. Lecce.

È un legame indissolubile quello tra calcio, soprattutto minore, e la criminalità organizzata?

È molto difficile da recidere anche perché per alcune realtà alla base c’è una motivazione direi storica. A Galatina, per esempio, uno dei soci fondatori della squadra è uno dei fratelli Coluccia, condannati più volte per traffico di stupefacenti.
A livello più generale quanto è ancora forte il consenso sociale della criminalità organizzata?

Da noi purtroppo non è ancora forte, ma va diventando forte. La Sacra Corona Unita non aveva mai avuto radicamento sul territorio. Le caratteristiche dell’organizzazione mafiosa salentina sono sempre state diverse da quelle di camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra perché è stata diversa la sua origine. In Sicilia, Calabria e Campania la mafia è nata con un consenso di base della gente che vedeva queste organizzazioni come un’alternativa allo Stato vessatore. Da noi è stata invece un’iniziativa criminale che la gente ha visto sin dall’inizio come un’associazione criminale che compiva delitti e altre violenze. La Sacra Corona Unita è mafia non nell’accezione sociologica del termine ma lo è perché corrisponde ai requisiti dell’articolo 416 bis del codice penale. È mafia perché ha realizzato le condizioni mafiose di omertà, terrore e di vincolo associativo. Già all’epoca della mia requisitoria del primo maxi processo che serviva a riconoscere la mafiosità dell’organizzazione dissi che bisognava intervenire sistematicamente perché altrimenti col tempo il radicamento ci sarebbe stato. Purtroppo sono stato facile profeta. Nei 40 anni in cui sono qua a Lecce si è passati lentamente e in maniera strisciante da un rifiuto all’indifferenza, poi alla tolleranza fino all’accettazione e infine al consenso.

La crisi economica non aiuta però a recidere questo consenso…

Tutt’altro, con la crisi la situazione è molto peggiorata. Abbiamo visto che, per esempio, c’è stata una tendenza alla delega per la riscossione dei crediti perché naturalmente se lo chiedono appartenenti all’organizzazione mafiosa il recupero di questi crediti questo avviene istantaneamente. Purtroppo si è creata un’accettazione dei metodi violenti con cui è effettuata la riscossione dalla criminalità organizzata. Si è creato consenso anche intorno alle estorsioni. Un importante collaboratore di giustizia dell’area brindisina ci ha raccontato come adesso in alcune realtà territoriali è dalla parte della Sacra Corona Unita, perché i crimini più evidenti si sono interrotti. La criminalità ha capito come tirare dalla propria parte la gente. Omicidi, danneggiamenti con le bombe e incendi sono scomparsi. Stanno seguendo la strategia di Provenzano, la strategia dell’inabissamento. E ora all’esterno appaiono addirittura come benefattori. Danno prestiti a gente in difficoltà, girandogli 100 o 200 euro a fondo perduto senza poi chiedere la restituzione. E poi procurano lavoro. Naturalmente fanno ancora usura su somme più grosse e alla lunga fanno perdere lavoro perché i titolari delle società infiltrate perdono potere e la società diventa a tutti gli effetti mafiosa. Addirittura ci viene segnalato che non hanno nemmeno più bisogno di compiere le estorsioni ma che sono le stesse vittime a offrire spontaneamente denaro. Così magari a fine anno il gioielliere regala il Rolex al boss o un bracciale a sua moglie. È una deriva pericolosissima degli ultimi anni.

Nelle scorse settimane si parla molto del rischio di un possibile ritorno allo stragismo mafioso. Lei ci crede?

Considerando l’esito della strategia di Riina rispetto all’esito di quella di Provenzano credo che per loro sarebbe una follia. Per quanto riguarda la Sacra Corona Unita, qui i boss hanno avuto una serie di problemi interni, si sono fatti guerra per la leadership ma non c’è mai stata una strategia stragista.

Quali sono i rapporti tra Sacra Corona Unita e le altre organizzazioni mafiose?

La Sacra Corona Unita è nata in opposizione alla colonizzazione del Salento da parte della camorra. È stata una reazione all’iniziativa di Raffaele Cutolo che voleva creare la Ncp (Nuova camorra pugliese). L’inizio è stato conflittuale, poi la Scu ha ricevuto la legittimazione dei calabresi. Sono andati avanti allentando le tensioni e ci sono stati vari episodi che hanno stemperato le tensioni, come ad esempio il contrabbando operato congiuntamente in Montenegro dalle diverse organizzazioni. Ora i rapporti sono di buon vicinato.
Tornando al calcio, con quali strumenti si potrebbe riuscire a recidere il legame con la criminalità organizzata?

È particolarmente difficile riuscirci. Credo però che la repressione penale da sola non serva a molto, anzi. Bisognerebbe blindare le società di calcio, magari con una certificazione antimafia o una sorta di autotutela. Ma servirebbe più della prevenzione: ci vorrebbe proprio un’azione culturale sulla mentalità della gente. È la gente che per prima deve ribellarsi alle presenze mafiose nelle società di calcio.

In senso generale quali strumenti servirebbero per il contrasto alla mafia?

Gli strumenti che abbiamo sono abbastanza adeguati. Il problema è che si fa fatica perché per esempio tecnologicamente loro sono molto più avanzati di noi. Internet non si può intercettare e noi facciamo le acrobazie per avere qualche informazione in più. Purtroppo tra i nostri strumenti non ci può essere la sfera di cristallo. Serve prima di tutto la volontà della gente, solo così possiamo sconfiggerli.

E questa volontà non esiste?

Purtroppo è difficile cambiare la mentalità. Però ho speranza. Faccio riferimenti a casi recenti di omicidio che abbiamo risolto grazie alle testimonianze di alcuni ragazzi. Una volta addirittura un minorenne ci ha messo sulla pista giusta. In uno di questi casi avevano ammazzato una persona davanti a moltissima gente durante l’allestimento di una festa di paese. Nessuno aveva visto nulla. Quei ragazzini, anche se i genitori gli dicevano di non parlare, ci hanno dato una grossa mano. Ecco, se ci fossero più casi come questi abbiamo una speranza. Altrimenti, purtroppo, non andremo molto lontani.
di Lorenzo Lamperti
Mercoledì, 11 dicembre 2013 - 12:07:00
articolo apparso su

venerdì 8 novembre 2013

Addio a Ciro Paglia, l'uomo che sfidò Raffaele Cutolo

Il giornalista Ciro Paglia
È morto oggi Ciro Paglia, saggista e giornalista.
Nel 1980 scrisse una serie di articoli di denuncia contro i soprusi della camorra nei confronti degli abitanti di Napoli. Fu minacciato da Raffaele Cutolo, il capo della Nuova Camorra Organizzata (allora rinchiuso nel carcere di Poggioreale), il quale spedì a Paglia una lettera intimidatoria, in cui venivano presi di mira sia il giornalista che la sua famiglia.
Nel 1981 la compagna di Paglia fu uccisa davanti la propria abitazione: il delitto è ancora insoluto.
Negli anni successivi, Paglia si occupò anche di inchieste su Tangentopoli. Dopo anni come redattore capo centrale del Mattino, dal 1995 ha svolto l'attività di freelance e ha prestato servizio come volontario in favore dei malati di cancro e anche presso una comunità di recupero per tossicodipendenti.

martedì 5 novembre 2013

Omicidio Carlino, dopo 12 anni in manette Pagnozzi. Il mandante era il boss Michele Senese

Il mandato omicidiario fu assegnato da Michele Senese a Domenico Pagnozzi con cui vi era un’alleanza criminale risalente ai tempi della guerra di camorra degli anni ’80 per la comune militanza nella “Nuova Famiglia” di Carmine Alfieri, nella contrapposizione alla NCO di Raffaele Cutolo.

(MeridiananNotizie) Roma, 4 novembre 2013 – I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a Domenico Pagnozzi, esponente di spicco dell’omonimo clan camorristico di San Martino Valle Caudina (AV), individuato a distanza di dodici anni, quale autore materiale dell’omicidio di Carlino Giuseppe, assassinato a colpi d’arma da fuoco nel corso di un agguato a Pomezia, loc. Torvajanica (RM) il 10 settembre 2001.
La misura cautelare è stata emessa dal GIP Maria Agrimi su richiesta dei PM della Procura della Repubblica di Roma – D.D.A., Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, a chiusura delle indagini sul grave fatto di sangue che, nel giugno scorso, avevano portato i Carabinieri ad arrestare i pregiudicati Michele Senese,Giovanni de salvo, Raffaele Carlo Pisanelli e Fiore Clemente, ritenuti corresponsabili con il Pagnozzi nella pianificazione ed esecuzione dell’omicidio.carabinieri
Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, l’omicidio di Carlino fu deliberato da Michele Senese per vendicare l’omicidio del fratello, Senese Gennaro,avvenuto nel 1997 a Roma, e per riaffermare il prestigio della sua organizzazione criminale. Il mandato omicidiario fu assegnato da Michele Senese a Domenico Pagnozzi con cui vi era un’alleanza criminale risalente ai tempi della guerra di camorra degli anni ’80 per la comune militanza nella “Nuova Famiglia” di Carmine Alfieri, nella contrapposizione alla NCO di Raffaele Cutolo.
In seguito, i due si trasferirono a Roma, Senese a metà degli anni 80’ e Pagnozzi a partire dal 2000, ove iniziarono a collaborare, secondo alcuni collaboratori di giustizia, offrendosi reciproca assistenza nell’esecuzione di omicidi. All’epoca dell’omicidio di Giuseppe Carlino, il Domenico Pagnozzi era latitante in quanto destinatario di una misura cautelare per associazione mafiosa.
La misura emessa a carico del Pagnozzi si basa sul complesso quadro indiziario acquisito dai Carabinieri di via in Selci, già alla base dell’ordinanza emessa il 26 giugno scorso nei confronti del Senese più altri 3, peraltro confermata dal Tribunale del Riesame di Roma, nonché sugli esiti degli accertamenti di laboratorio eseguiti su un fazzoletto di carta rinvenuto all’epoca dei fatti sull’autovettura utilizzata dal commando che eseguì l’omicidio, su cui è stato rinvenuto il profilo DNA del predetto Pagnozzi.
All’indagato è stata contestata l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991 nr. 152 convertito in L. 12 luglio 1991 nr. 203, per avere agito avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale. Al riguardo, nell’O.C.C. viene evidenziato come “la realizzazione dell’omicidio di Giuseppe Carlino ha sicuramente contribuito in modo significativo a rafforzare il prestigio criminale mafioso di Michele Senese e del suo gruppo sul territorio romano (…) anche grazie al consolidamento dell’alleanza tra il gruppo criminale di Pagnozzi e quello di Senese”.
Il Pagnozzi Domenico era già recluso in regime di 41 bis presso il carcere di Spoleto e risulta gravato da precedenti per gravi delitti, tra cui per associazione mafiosa e omicidio.

venerdì 1 novembre 2013

Omicidio Caiazzo, dopo 21 anni arrestati i responsabili

28/10/2013, 15:41
NAPOLI - Sono passati 21 anni dall' omicidio di Luigi Caiazzo e del padre Giuseppe, appartenenti all'allora Nco di Raffaele Cutolo, l'uno ucciso in una masseria a Villa Literno ed il secondo ammazzato il giorno dopo nell'ambito di un altro raid di morte. Il cadavere di Luigi  non é mai stato ritrovato. Grazie ad indagini ad ampio raggio e la collaboarazione di alcuni pentiti, la Dia partenopea, coordinata dal procuratore Francesco Greco, ha finalmente arrestato gli autori degli agguati e fatto piena luce su dinamiche e movente delle spedizioni di morte. In menette sono finiti Giuseppe Terracciano e Raffaele Cantone, 54 e 53 anni entrambi appartenenti al clan dei casalesi che nel 1992 cercavano di bloccare la riorganizzazione della Nuova Camorra Organizzata di Cutulo sul territorio casertano. Proprio per questo motivo ed al fine di garantire al clan di Casal di Principe il controllo delle attvitá illecite in Terra di Lavoro, furono compiuti i due delitti. 



martedì 1 ottobre 2013

"Tonino a mulletta", braccio destro di Cutolo, tenta di togliersi la vita



SAN GIUSEPPE VESUVIANO Ha provato ad uccidersi stringendosi le lenzuola intorno al collo, ma è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. A tentare il suicidio Antonio Cutolo, 55enne di San Giuseppe Vesuviano, boss e braccio destro della Nco dell’omonimo “padrino” Raffaele Cutolo. È la seconda volta in pochi mesi, tuttavia, che il ras della Nuova Camorra Organizzata progetta di togliersi la vita dietro le sbarre. Fatti che naturalmente preoccupano non poco il Dap tant’è che “Tonino ‘a mulletta” viene sorvegliato a vista dagli uomini in divisa che controllano il carcere del Nord Italia in cui il ras è detenuto.
Il 55enne, ex ras della Nco e successivamente promotore della Nuova camorra speciale, un passato da collaboratore di giustizia non sempre creduto, è stato comunque portato in ospedale per un principio di soffocamento che gli stava costando la vita. Sui motivi del gesto estremo, anzi dei gesti a distanza di poco tempo l’uno dall’altro, non ci sono certezze; di sicuro, però l’uomo vive male la sua condizione di recluso. Ergastolo per omicidio, originario di San Giuseppe Vesuviano, Antonio Cutolo è solo omonimo del padrino e fondatore della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo.
Antonio Cutolo è detenuto in regime differenziato perché da collaboratore di giustizia in una decina di anni ha fatto luce su 30 anni di camorra, soprattutto vesuviana ma anche napoletana. Nel frattempo però, secondo la procura di Napoli approfittando di un permesso-premio, tra il 2005 e il 2006 avrebbe commesso alcune estorsioni a imprenditori e commercianti dell’area a Sud di Napoli, in particolare a San Giuseppe Vesuviano. Atti malavitosi che erano il suo tentativo di tornare in campo attraverso la Nuova camorra speciale con cui aveva stretto legami nel carcere di Sulmona anche con i Sarno di Ponticelli, cosca poi sparita dopo pentimenti e delitti.

domenica 8 settembre 2013

Beni confiscati alla Camorra. Pittella in visita nell'ex regno di Cutolo

Gianni Cittella in visita nel bene confiscato
OTTAVIANO Il vicepresidente del parlamento europeo, Gianni Pittella, in visita al Castello Mediceo di Ottaviano, simbolo nel Napoletano dei beni confiscati alle mafie. Il sopralluogo è avvenuto nella tarda mattinata, quale una delle tappe principali del tour promosso dalla “Fondazione Polis” all’interno degli immobili sottratti alla criminalità organizzata.
Il Castello Mediceo acquistato da Raffaele Cutolo
Durante l’ispezione in quello che era il regno del superboss, Raffaele Cutolo, Pittella ha incontrato il sindaco del comune vesuviano, Luca Capasso, con cui si è intrattenuto a lungo per un colloquio faccia a faccia. Sul piatto della bilancia le iniziative messe in atto nel Palazzo che era della Nco, a partire dagli eventi antimafia organizzati insieme alle associazioni che operano nel delicato settore.«Abbiamo garantito al vicepresidente del Parlamento europeo che faremo di tutto per continuare a valorizzare il Castello Mediceo - spiega il primo cittadino di Ottaviano - In tal senso abbiamo in mente progetto che metteremo nero su bianco già nei prossimi mesi. Il Palazzo - conclude Capasso - è patrimonio dell’intera comunità ottavianese e l’Amministrazione dedicherà al complesso tutte le attenzioni necessarie».






Fonte: Il Fatto Vesuviano

mercoledì 28 agosto 2013

IL CILENTO ‘PARADISO’ DEI LATITANTI. DAL SUPERBOSS RAFFAELE CUTOLO FINO AI RAS NOLANI E SCISSIONISTI


Il Cilento ‘paradiso’ dei latitanti
Il Cilento ‘paradiso’ dei latitanti
Cilento. L’arresto del latitante Michele Di Nardo, a Palinuro, è solo l’ultimo di una lunga lista di clamorosi blitz delle forze dell’ordine che, negli anni, hanno potuto appurare come la provincia a sud di Salerno sia diventata un ‘rifugio’ per i mammasantissima della criminalità organizzata. Ed il primo, in ordine di importanza e caratura ‘criminale’ oltreché cronologico, è stato addirittura il superboss Raffaele Cutolo che, il 15 maggio del 1979, venne arrestato in una masseria nella campagna di Albanella dove aveva trovato rifugio in seguito alla rocambolesca quanto clamorosa fuga dal manicomio criminale di Aversa. Più recentemente altri mammasantissima della malavita napoletana e casertana hanno trovato rifugio tra la Piana del Sele ed il Cilento. Nel giugno del 2009, in un camper parcheggiato all’interno di un camping di Capaccio Paestum, venne scoperto, con la famiglia, il boss nolano Michele Di Domenico. L’uomo, che per ironia della sorte era stato classificato dagli inquirenti come un ex cutoliano, era ricercato per associazione a delinquere e detenzione d’armi oltreché per estorsione. Non passò che un mese per registrare il secondo arresto eccellente. Ancora una volta un latitante napoletano aveva ottenuto asilo all’ombra dei
Il super boss Raffaele Cutolo
Templi. Il 23 luglio del 2009, in un camping capaccese, venne arrestato Carmine Calzone ‘tradito’ dall’acume di un maresciallo della Guardia di Finanza in vacanza che aveva notato l’uomo che spendeva e spandeva come se non ci fosse un domani. Il blitz dei carabinieri nella ‘residenza estiva’ dello scissionista accusato pure di aver preso parte ad alcune azioni sanguinose e pure ad un omicidio. Nel frigobar, i carabinieri trovarono anche quattro bottiglie di don Perignon ed accertarono che, in una sola serata, Calzone si era concesso il lusso di spendere ben 5mila euro. Il rapporto tra ‘mala’ e Cilento, perciò, è duro a morire ed ha una madre ‘sconsiderata’: la legge sulla residenza coatta che, negli anni scorsi, invece di piegare la camorra ne ha consentito la ramificazione in territori ‘vergini’. Come, ad esempio, l’area tra il salernitano e la provincia di Avellino dove si nascondeva, fino all’agosto dell’anno scorso, il superboss scafatese Francesco Matrone, alias Franchino ‘a belva, in un rifugio tra le colline di Acerno. 
(Giovanni Vasso – Metropolis)
fonte: PositanoNews  
27/08/2013
di Annalisa Cinque

giovedì 22 agosto 2013

Petizione per misure alternative al 41 bis per Raffaele Cutolo. Ecco il testo integrale che tutti i media stravolgono.

Raffaele Cutolo
IL CARCERE SENZA RIABILITAZIONE E POSSIBILITA' DI RIEDUCAZIONE E' SOLO UNA VERGOGNA ED UNA VENDETTA SOCIALE NEI CONFRONTI DEL DETENUTO ED E' CONTRO OGNI DIRITTO UMANO QUANDO DI FATTO DIVENTA "INTERNAMENTO" SENZA GARANZIE GIURIDICHE COME IL CASO DI RAFFAELE CUTOLO, EX CAPO DELLA NUOVA CAMORRA ORGANIZZATA NEGLI ANNI 80, OGGI " CONVERTITO" SENZA GIUSTIZIA.
AL MINISTRO DI GIUSTIZIA
SIG.RA ANNAMARIA CANCELLIERI
VIA ARENULA,70-00186-ROMA



OGGETTO : PETIZIONE POPOLARE PER CHIEDERE IL RIACCERTAMENTO DELLA PERICOLOSITA’ SOCIALE (ART. 203 C.P.) ED ASSEGNAZIONE A MISURE ALTERNATIVE AL 41 BIS – L. N° 354/75 , PER IL DETENUTO RAFFAELE CUTOLO N. AD OTTAVIANO (NA) IL 04.11.1941.


ECCELLENTISSIMO SIGNOR MINISTRO DI GIUSTIZIA,AI SENSI DELL'ART. 27 COST. LE PENE DEVONO TENDERE ALLA RIEDUCAZIONE E RIABILITAZIONE DEL DETENUTO. RITENIAMO IMPORTANTE CHE NELLA NOSTRA SOCIETA’ DEMOCRATICA IL DIRITTO NON SIA SOLO UNA PAROLA MA SI CONIUGHI REALISTICAMENTE CON IL SENSO DI UMANITA’ E DI GIUSTIZIA E NON SIA “GIUSTIZIALISMO IDEOLOGICO”.QUESTA INIZIATIVA IN FAVORE DEL DETENUTO RAFFAELE CUTOLO IN OGGETTO , VUOLE ESSERE,ALTRESI’, UNA PROPOSIZIONE “CRITICA” RISPETTO A NORMATIVE NATE COME “ECCEZZIONALI”( ART. 41 BIS DELL’O.P.), TALVOLTA ECCESSIVE RISPETTO AD ATTEGGIAMENTI DI RAVVEDIMENTO OPEROSE E CONVERSIONE DEL REO , DIVENTATE , IN DISPREGIO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA E ALLA CARTA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI UMANI, “ “IL BRACCIO FORTE “ DI UN CREDO IDEOLOGICO MA CHE IN PRATICA INEFFICACI RISPETTO ALL’ELIMINAZIONE DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA . ILL.MO MINISTRO IL 41 BIS O.P. HA AVUTO L’AGGRAVANTE DI UN NUOVO PROTAGONISMO CULTURALE NEL CONTESTO DEI VERTICI DELLA CRIMINALITA’ CRIMINALIZZATA, QUELLO DELLE DONNE. LA GIUSTIZIA E’ VERAMENTE “GIUSTA” SE LA SUA MISURA E’ LA CIVILTA’. LA RIEDUCAZIONE DEL DETENUTO E LA POSSIBLITA’ CHE LO STESSO POSSA RICONCILIARSI DEFINITIVAMENTE CON IL SUO PASSATO HA EFFETTI IMPORTANTI ANCHE SUL PIANO VITTIMOLOGICO , CONTESTO SPESSO DIMENTICATO NELL’APPLICAZIONE DELLA PENA. QUESTO DEVE VALERE, AI SENSI DELL’ART. 3 DELL COSTITUZIONE ITALIANA , PER TUTTI I DETENUTI , QUALUNQUE CRIMINE ABBIANO COMMESSO ED IN QUALSIAI STATO DETENTIVI ESSI SI TROVINO.LO STATO DI PRIVAZIONE DELLA LIBERTA’ PERSONALE , NELLA CONDIZIONE DI RISTRETTO IN CARCERE PER REATI GRAVI, NON PUO’ COSTITUIRSI COME VENDETTA SOCIALE NEI CONFRONTI DEL REO. QUESTO SAREBBE LA NEGAZIONE DI UNA CIVILTA’ GIURIDICA DEMOCRATICA , CHE CI RIPORTEREBBE INDIETRO DI SECOLI. AL REO, FOSSE IL FAMIGERATO RAFFAELE CUTOLO COME QUALSIASI ALTRO “POVERO CRISTO” RISTRETTO, BISOGNA DARE LA POSSIBILITA’ DI POTER DIMOSTRARE, ,NEI FATTI, CHE E’ CAMBIATO E CHE VUOLE METTERSI AL SERVIZIO DEL BENE AVENDO RINNEGATO IL MALE .ILL.MO SIGNOR MINISTRO , RAMMENTIAMO CHE DA CIRCA 50 ANNI, RAFFAELE CUTOLO,EX CAPO DELLA NUOVA CAMORRA ORGANIZZATA,E' IN CARCERE E DAL 1982 SCONTA VARI ERGASTOLI IN REGIME DI CARCERE DURO, PRATICAMENTI SCONTATI IN QUASI TUTTI I CARCERI ITALIANI. DAL 1992,OVVERO DA 21 ANNI ,CON LA RIFORMA CARCERARIA, IL DETENUTO CUTOLO E' RISTRETTO IN REGIME DI 41 BIS,IN BASE AD UNA PRESUNTA “PERICOLOSITA’ SOCIALE” (SI DICE “PRESUNTA” PERCHE’ LA SUA FONDATEZZA HA MOTIVAZIONI PIU’ “IDEOLOGICHE” CHE DI PROVATO ED OGGETTIVO RISCONTRO ATTUALE) ED IN QUESTA CONDIZIONE DETENTIVA ,CON SERI PROBLEMI DI SALUTE,TROVASI ORA NEL CARCERE DI MASSIMA SICUREZZA DELL'AQUILA. QUI RISULTA NON ESSERE INSERITO IN NESSUN PROGRAMMA RIEDUCATIVO E RIABILITATIVO COSI COME PREVEDE IL DETTATO COSTITUZIONALE ED IN SITUAZIONE CONTRARIA DI FATTO ALLA GIURISPRUDENZA PREVALENTE DELLA CORTE EUROPEA DI GIUSTIZIA .RAFFAELE CUTOLO,CON IL 41 BIS , SI TROVA NEL CARCERE DELL’AQUILA PRATICAMENTE DA “INTERNATO” E NON DA NORMALE “DETENUTO” .DAL 1983, RAFFAELE CUTOLO, HA DICHIARATO DI AVER CHIUSO DEFINITIVAMENTE CON IL SUO PASSATO DI CAMORRISTA. EGLI SI E' "CONVERTITO" SPIRITUALMENTE E VUOLE DIMOSTRARE DI ESSERE OGGI,ANCHE SOCIALMENTE, UNA PERSONA DIVERSA,COME ,IN PIU’ OCCASIONI, HA SOSTENUTO MONS. RAFFAELE NOGARO ,VESCOVO EMERITO DI CASERTA,CHE LO CONOSCE SPIRITUALMENTE DA OLTRE 25 ANNI. ALCUNI ASPETTI DI QUESTA PERSONA , OLTRE UN PASSATO DA EFFERATO CAMORRISTA,STRANAMENTE RISULTANO ESSERE RICCHI , PER QUELL’AMORE CHE TUTTO COMPRENDE ED ISPIRA LA NOSTRA UMANITA’ , DI RISVOLTI INTERIORI POCO CONOSCIUTI AI PIU’,MENO MESSI IN EVIDENZA ,POCO RICERCATI ALL’OSSERVAZIONE ED ANALISI PERSONOLOGICA, I QUALI SE ATTENTAMENTE UTILIZZATI POSSONO ESSERE,PARADOSSALMENTE UTILI, AL MIGLIORAMENTO SOCIALE E DI INSEGNAMENTO PER TANTI DERELITTI ANCORA ILLUSI DAL CRIMINE. RAFFAELE CUTOLO OGGI HA DIRITTO, COME PERSONA, ALLA POSSIBILITA’ DI DIMOSTRARE CHE E’ CAMBIATO E VUOLE RENDERSI UTILE ALLA SOCIETA’ PAGANDO FINO IN FONDO LA SUA PENA E DI DIMOSTRARE ALLA SOCIETA’ CHE E’ UN UOMO NUOVO NON SOLO PERCHE’ HA PAGATO (CIRCA 50 ANNI DI CARCERE ,DI CUI 30 ANNI IN REGIME DI ISOLAMENTO) MA ANCHE PERCHE’ IN LUI VI E’ SICURAMENTE OGGI IL GERME DI CHI HA VERAMENTE COMPRESO CHE IL CRIMINE NON PAGA. RAFFAELE CUTOLO HA DIRITTO A PAGARE LA SUA PENA IN UN ALTRO MODO RISPETTO ALLA CONDIZIONE DI FATTO DA “INTERNATO” CHE VIVE ATTUALMENTE AL CARCERE DELL’AQUILA . LA SOCIETA’ HA IL DOVERE DI RICONSIDERARE ,CON TUTTE LE PRECAUZIONI MA CON ATTENZIONE, LA SITUAZIONE PERSONALE E POSIZIONE DI CUTOLO COME DETENUTO OGGI RISTRETTO AL 41 BIS E MAGARI,SE POSSIBILE, METTERLO NELLA CONDIZIONE DI POTERSI “RICONCILIARE” TOTALMENTE CON IL PASSATO IN PARTICOLARE CON LE VITTIME INNOCENTI DELLA SUA STORIA CRIMINALE ED I LORO FAMILIARI,STORIA CRIMINALE CHE ORAMAI ,GRAZIE A DIO, NON C’E PIU’. PERTANTO SI CHIEDE ALLA S.V. ILLUSTRISSIMA ,QUALE E AUTORITA’ PREPOSTA, DI VOLER ATTIVARE LE PROCEDURE DI RITO AFFINCHE SI RICONSIDERI ,COME SI E’ FATTO RECENTEMENTE PER ALTRI DETENUTI AL 41 BIS, LA SITUAZIONE DI “PERICOLOSITA’ SOCIALE “ DEL DETENUTO CUTOLO RAFFAELE NELLA SUA POSIZIONE DI DETENUTO AL 41 BIS , CON MISURE DETENTIVE ALTERNATIVE A QUESTO REGIME CARCERARIO. I PETENTI RINGRAZIANO PER L’ATTENZIONE PRESTATA ALLA PRESENTE DICHIARANDO ESPRESSAMENTE CHE LE INTENZIONI DELLA STESSA TROVANO RISCONTRO ESCLUSIVAMENTE NELLE MOTIVAZIONI DI GIUSTIZIA ED UMANITA’ A CUI E’ EFFETTIVAMENTE ISPIRATA.


DISTINTI OSSEQUI

I PETENTI 
Cordiali saluti,
[Il tuo nome]

mercoledì 21 agosto 2013

“Cutolo non merita il carcere". Scatta la petizione per “il camorrista”

Raffaele Cutolo
Un comitato pro Raffaele Cutolo, un gruppo di persone che si batte per lo spietato criminale della camorra. «La raccolta firme per la concessione di misure alternative al carcere per Raffaele Cutolo è un “mission” umanitaria e di civiltà,  perché è importante che nella nostra società democratica il diritto non sia solo una parola ma si coniughi realmente con il senso di umanità e  giustizia e non sia “giustizialismo ideologico”».

E’ quanto afferma Francesco Franzese, portavoce del comitato promotore della petizione con la quale si chiedono misure alternative alla detenzione per " 'o camorrista". Il fondatore della Nuova Camorra Organizzata ha trascorso 50 dei suoi 73 anni in carcere. Da 21 anni sottoposto al regime di 41bis, attualmente Raffaele Cutolo è detenuto presso la casa circondariale dell’Aquila.

«La proposta vuole essere, altresì, un’iniziativa “critica” rispetto a normative “eccezionali”   ( art 41 bis dell’O.P.) , talvolta eccessive rispetto ad atteggiamenti di ravvedimento operoso e di conversione, che sono diventate, in dispregio della Costituzione Italiana ed alla Carta internazionale dei Diritti Umani, un “credo ideologico” ma inefficaci rispetto allo sradicamento della criminalità organizzata che tra l’altro intravede un nuovo protagonismo culturale quello delle donne, alimentato in pratica, tramite il 41 bis. La Giustizia è veramente  “giusta” se la sua misura è la Civiltà, il senso dell’umanità ed il recupero sociale del detenuto, chiunque esso sia e qualunque crimine abbia commesso. Lo stato di privazione della libertà personale nelle condizioni di ristretto in carcere per i reati penali gravi e/o efferati non può essere una vendetta sociale nei confronti del reo , se a questi non si da la possibilità di reinserirsi socialmente. Grazie per attenzione con preghiera di dare diffusione all’iniziativa».

La petizione sarà presentata al Ministro della Giustizia. Nella richiesta i promotori hanno sottolineato che il regime di 41 bis è stato applicato sulla base di una pericolosità sociale soltanto presunta, in quanto la sua fondatezza avrebbe motivazioni ideologiche e prive di un provato ed oggettivo riscontro.

Francesco Franzese è un assistente sociale, dipendente del Comune di Frattamaggiore. Residente a Saviano in provincia di Napoli, Franzese vanta una particolare passione per la criminologia.
Francesca Fasolino (@Fra_fas)

Mercoledì, 21 agosto 2013 - 11:43:00

fonte: affaritaliani.it

lunedì 19 agosto 2013

Tra i versi del professore una poesia contro la droga, s'intitola "Polvere bianca".

CUTOLO SCRIVE POESIE CONTRO LA DROGA

L' ASINARA (p.g.p.) - Di poesie sulla droga ne sono state composte tante. Ma se a scriverle è don Raffaele Cutolo, indiscusso boss della camorra, una delle organizzazioni che gestisce il traffico internazionale degli stupefacenti, la questione cambia. Il "re di Ottaviano" dal carcere dell' Asinara ha inviato una poesia contro l' eroina al quotidiano sassarese "La nuova Sardegna". Insieme al testo, un memoriale-requisitoria nei confronti di quelli che lui stesso definisce "venditori di morte". Lo scritto è stato spedito dal penitenziario il giorno di Ferragosto. Cutolo ha fatto rientro all' Asinara (nella quale in passato è stato detenuto per più di due anni) soltanto da qualche settimana, subito dopo un processo per omicidio a Campobasso al termine del quale è stato assolto per insufficienza di prove. Ecco il testo integrale della poesia: "Polvere bianca / polvere bianca / ti odio! / Sei dolce e sei amara / come una donna / sei pura e sei buio. / Giovani odiatela / la polvere bianca / sì! vi fa volare / per poi farvi / ritornare nel buio più cupo. / Vola per l' aria / limiti di un' anima / fatta a pezzi / si tocca il fondo / i fatti diventano voragini buie... / e poi di colpo / i dolori si placano / e il cielo è un' esplosione di luce / poi più nulla. / L' indomani / solo un trafiletto sui giornali / ennesimo giovane morto: per droga. / Polvere bianca / ti odio". Nel documento fatto pervenire al quotidiano il boss afferma di seguire con preoccupazione le vicende legate allo spaccio di droga. Dice tra l' altro che i politici dovrebbero impegnarsi di più per debellare un fenomeno che, anche in Sardegna, sta assumendo proporzioni preoccupanti. Spiega poi di essere certo che le sue tesi faranno "sobbalzare dalle poltrone" parecchie persone. "Ma in tutta la mia vita - prosegue - non ho mai fatto piangere nessuno se non coloro che volevano farmi del male".



Le date principali della vicenda criminale di Raffaele Cutolo

• Ottaviano del Vesuvio (Napoli) 4 novembre 1941 (ma sui documenti, per un errore di trascrizione all’anagrafe, è segnato 10 dicembre 1941). Camorrista. Detenuto al 41 bis (attualmente a Terni), quasi ininterrottamente dal 27 settembre 1963. Sta scontando nove ergastoli. «Il carcere è la sua casa, il suo bunker istituzionale e garantito» (Adriano Baglivo).
• Detto ’o Professore di Ottaviano.
• Nato in un castello mediceo, ceduto al padre Giuseppe (dettoDon Peppe ‘e Monaco, coltivatore diretto), da ex signori impoveriti dalla guerra, che non erano riusciti a restituirgli dei soldi. Studi dalle suore, poi il lavoro (sarto, falegname, barbiere, fabbro, rappresentante di vini e confetti, autonoleggiatore abusivo). La svolta a 22 anni, il 24 settembre 1963, quando uccide sparandogli al cuore Michele Viscito, che lo aveva afferrato per la sciarpa avendolo sentito dire a due ragazze : «Andatevene a fa’ ‘nculo». Non che non l’avesse detto, lui era stanco, le ragazze strafottenti («La fatica degli sforzi fisici ti fa salire il sangue alla testa. Mi ha sempre provocato un senso di fastidio, di angoscia»), ma suo nonno lo aveva sempre ammonito: «Se porti le mazzate a casa, ti do il resto» (Giuseppe Marrazzo). Il 27 settembre si costituisce, e viene tradotto a Poggioreale.
• Condannato all’ergastolo più altri dodici anni, pena ridotta in appello a 24 anni, è in carcere quando nasce il figlio Roberto (in omaggio a Robin Hood), avuto da una relazione con Filomena Liguori. La zia gestiva una casa di prostitute e Cutolo temeva che la ragazza potesse fare una brutta fine. «Ero già temuto e rispettato anche per il ricordo di mio padre, che quando era in vita aveva aiutato tutti» (Francesco De Rosa, Un’altra vita, Marco Tropea 2001).
• Nel 1970 esce dal carcere per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il contrabbando di sigarette a Napoli è in mano a mafiosi e a marsigliesi. Cutolo, predicando il riscatto dei napoletani dagli stranieri, recluta truppe di malviventi e, il 24 ottobre 1970 (giorno in cui si celebra l’arcangelo Raffaele), fonda ufficialmente la Nuova Camorra Organizzata (sulla suggestione delle letture storiche fatte in carcere, sui guappi della camorra dell’Ottocento). Formula del giuramento: «Noi siamo i cavalieri della camorra, siamo uomini d’onore, d’omertà e di sani principi, siamo signori del bene, della pace e dell’umiltà, ma anche padroni della vita e della morte. La legge della camorra a volte è spietata, ma con chi tradisce». Agli affiliati Cutolo promette stipendi mensili, assistenza legale e un fondo di solidarietà per i detenuti. Chi non sta con lui deve morire.
• «Se avessi intrapreso la carriera religiosa, sarei diventato papa».
• Viene arrestato di nuovo nel 71, nel corso di una sparatoria coi carabinieri nelle campagne di Palma Campania, che gli costa una condanna ad altri 14 anni. Ma gli viene riconosciuta l’infermità di mente e anziché in carcere viene recluso in manicomio giudiziario, prima a Sant’Efrem (Napoli), poi ad Aversa, dove può ricevere visite e continuare a condurre i suoi affari. Il 5 febbraio 1978 evade.
• Le perizie prodotte a sostegno della sua infermità mentale, diagnosticano un’epilessia primaria e richiamano il caso di una zia finita in manicomio. «Era bella e prosperosa… non aveva nulla delle altre donne della campagna piene di peli neri sulle gambe e sulle braccia. Lei ne aveva soltanto sulla “pucchiacca”, morbidi e ricci. Glieli accarezzavo con l’alluce del piede destro quando da bambino mi riusciva di dormire sulla brandina per mancanza di posti» (Marrazzo, Il camorrista Pironti 2005).
• «Hanno anche accertato che quando mi comprimono la giugulare, non rispondo più di me. Il sangue affluisce più forte e impetuoso verso il cervello, e io vengo preso da un irresistibile impeto di ribellione, da rabbia incontenibile, dalla voglia di imporre a ogni costo le mie ragioni» (ibidem).
• Nel frattempo ha anche stretto un patto con il boss della ’ndrangheta Paolo De Stefano (a Lamezia Terme), e con i malavitosi Renato Vallanzasca e Francis Turatello (a Milano), ma intanto si è rafforzato il fronte degli “anti-cutoli”. L’8 dicembre 1978 (giorno dell’Immacolata), Luigi Giuliano, boss di Forcella, costituisce la Nuova Fratellanza, un’organizzazione federale di famiglie napoletane, per combattere lo strapotere cutoliano (rispondono in duecento). La federazione (che diventerà la Nuova Famiglia), riunisce i Mallardo, i Vollaro, gli Alfieri, i Nuvoletta, i Bardellino, i Moccia, i Galasso. Tra il 1979 e il 1983 i morti ammazzati sono 818 (il culmine nel 1982: 264).
• Notte del 23 novembre 1980. Campania e Basilicata sono scosse dal terremoto. Cutolo, di nuovo in carcere, a Poggioreale, approfitta dell’apertura delle celle per ammazzare gli anti-cutoli (muoiono Michele Casillo, Giuseppe Clemente, Antonio Calmieri). Il pentito Mario Savio, allora ras dei Quartieri Spagnoli, e cutoliano: «Al centro c’era lui, Raffaele ‘O professore. Era circondato dalle guardie scelte. Saranno stati una sessantina di detenuti, la vestaglia di seta era la sua inquietante e grottesca divisa da generale golpista. Con calma e decisione impartiva gli ordini in quello spazio gigantesco, di cui aveva assunto il controllo totale. Divise gli uomini in piccole squadre. Ad alcuni consegnò la lista dei condannati a morte; ad altre assegnò il compito di scavare una via verso l’uscita. Il dramma si replica tre mesi dopo, il 14 febbraio 1981, durante un’altra scossa. Muoiono ammazzati Ciro Balisciano, Antonio Mangiapili e Vincenzo Piacente (quest’ultimo viene prima seviziato col fuoco, poi gli si schiaccia la testa tra un muro e un cancello) (Bruno De Stefano).
• Il 14 aprile 1981 muore ammazzato a colpi di pistola, mentre era a bordo della sua Fiat Ritmo, Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere di Poggioreale, che lo sottoponeva a perquisizione più volte al giorno, e quella volta che si era beccato due schiaffi da lui, anziché reagire, era andato a denunciarlo. Per questo omicidio Cutolo si prenderà un altro ergastolo.
• «Se ad esempio gli arrivano in carcere cento vestiti, omaggio di un fabbricante della zona vesuviana, ne distribuisce novantanove e ne tiene uno per sé, badando accuratamente che la cosa si diffonda nell’ambiente carcerario. Non perché intenda allargare il suo ruolo solo all’interno del carcere, ma perché i detenuti – presto o tardi – usciranno, gli saranno grati e si trasformeranno in suoi affiliati» (Marrazzo). Molte tangenti gli vengono versate sul conto corrente carcerario. In soli 13 mesi, dal marzo dell’81 all’aprile dell’82, presso la portineria del carcere di Ascoli Piceno sono stati lasciati oltre 33 milioni. Altri 22 li ha ricevuti con vaglia postali (in tutto, oltre quattro milioni al mese).
• La gestione degli affari fuori dal carcere era rimessa alla sorella Rosetta: «Con lui, sempre in carcere, è toccato a Rosa diventare la portavoce presso i 15 capizona, far eseguire i suoi ordini, controllare la raccolta delle tangenti. Legata al fratello da un affetto quasi morboso che l’ha spinta a rimanere nubile, Rosa Cutolo, come una dama di San Vincenzo, gli ha dedicato tutto il suo tempo, nell’attesa spasmodica del colloquio settimanale in carcere. Vive solo per quello: quando giungeva l’ora chiamava a raccolta, a turno, gli amici del fratello, si faceva accompagnare in macchina fin sulla porta del penitenziario e consegnava alle guardie un pacco voluminoso. Dentro c’era la biancheria di Raffaele, il pane cotto in casa, nel forno a legna, qualche salsiccia fatta con le sue mani» (Adriano Baglivo).
• Il 27 aprile 1981 viene sequestrato dalle Brigate rosse l’assessore regionale dell’Urbanistica, Ciro Cirillo, uomo di fiducia di Antonio Gava. Cutolo interviene nelle trattative, su richiesta di servizi segreti ed esponenti politici. In cambio gli vengono promessi trattamento carcerario e perizie psichiatriche più favorevoli, e tangenti sugli appalti della ricostruzione. Cirillo viene liberato e una sentenza della Corte d’Appello sancirà l’avvenuta trattativa tramite Cutolo.
• Il 25 febbraio 1982, all’indomani di un vertice sull’ordine e la sicurezza nella provincia di Napoli, il ministro dell’Interno Rognoni dispone con urgenza il trasferimento di Cutolo da Ascoli Piceno all’Asinara, ma il ministro di Grazia e giustizia,Clelio Darida, inspiegabilmente, ritarda il trasloco. A quel punto interviene il presidente Sandro Pertini, al quale sono giunte voci di un trattamento più favorevole concesso a Cutolo, che il 18 aprile viene imbarcato per l’Asinara (Bruno De Stefano).
• Ha mai votato?«Mai. Né prima del carcere né dopo» (Paolo Berizzi nel 2006).
• La Nuova Famiglia ne approfitta per decapitare la NCO. Prime vittime designate la mente e il braccio di Cutolo: Alfonso Rosanova (16 aprile 1982, ucciso nell’ospedale Procida di Salerno, dov’è ricoverato) e Vincenzo Casillo (29 gennaio 1983, saltato in aria dopo aver messo in moto la sua Volkswagen Golf, nel quartiere Primavalle di Roma).
• Il 25 febbraio 1983 si pente Pasquale Barra, detto ’o Animale, che con Raffaele Cutolo aveva fondato la NCO. È in carcere, quando grida: «Aiuto, giudice, solo voi mi potete salvare!». Mandante il Cutolo, Barra aveva ucciso, con due siciliani (Salvatore Maltese e Antonino Faro), Francis Turatello, “Faccia d’Angelo”, della mala milanese (nel cortile del carcere di Nuoro, il17 agosto 1981). Il Turatello era ormai morto, ma il Faro infieriva, strappandogli a morsi pezzi di intestino, e sputandoli in segno di disprezzo tanto che ne rimase inorridito lo stesso Barra, che cercò di fermarlo. Ma “Faccia d’Angelo” aveva grandi amici nella mafia, Luciano Liggio e Gerlando Alberti, che mandarono a dire a Rosetta Cutolo, la sorella di Raffaele, che certe cose non si fanno. Al che la Cutolo rispose che il fratello non c’entrava niente, era stata un’iniziativa di Barra («è pazzo»). Sentendosi condannato a morte Barra decise di parlare (e parlò troppo, perché fu proprio lui ad accusare Enzo Tortora). Il 17 giugno partono 856 ordini contro persone ritenute legate a Cutolo e finisce in manette anche Enzo Tortora, che, condannato in primo grado, e assolto in appello, morirà di cancro nel 1988.
• Intanto ad Ascoli Piceno Cutolo si è innamorato, ricambiato, della sorella di un suo luogotenente, Immacolata Iacone, diciannovenne, conosciuta durante l’orario di visita in carcere. Si sposano il 26 maggio 1983. La Iacone, intervistata da Vanity Fair: «Il primo bacio arrivò dopo sei mesi di fidanzamento, in parlatoio sporgendo il corpo sopra il vetro… Il giorno del matrimonio in carcere è l’unica volta che ho visto mio marito per intero, dalle scarpe ai capelli, senza sbarre o muri divisori a separarci».
• «Prima di sposare mia moglie la avvertii: pensaci bene, perché con me è come se fossi vedova a vita… Quando mi sono sposato l’ho giurato sull’altare di Dio: basta con la mia vita passata. Io non rinnego niente di quello che ho fatto. Sono coerente con me stesso. Ho fatto del male, ho seminato odio, violenza, morte. E quindi devo sopportare tutto. Ma da molti anni ho chiuso con la camorra» (a Paolo Berizzi, cit.).
• Nell’agosto 1987 Cutolo fa lo sciopero della fame per protestare contro l’isolamento, a settembre sta così male che viene ricoverato nel centro clinico del carcere Buoncammino di Cagliari. Dopo le dimissioni abbandona l’Asinara e comincia una peregrinazione da un carcere all’altro per poter comparire nei vari processi in cui è imputato.
• Il 4 ottobre 1988 viene ucciso suo suocero, Salvatore Iacone, guardia notturna in una fabbrica di pomodori. Il 19 dicembre 1990 uccidono suo figlio Roberto, di anni 28, in soggiorno obbligato nel Varesotto. I sicari lo affiancano mentre è al volante della sua Volkswagen bianca, lui tenta di fuggire a piedi, finché non cade per terra. Muore sotto i ferri in ospedale (nel 2005 sarà condannato per l’omicidio Mario Fabbrocino).
• Nel 2005 chiede la grazia al presidente della Repubblica (non riceve risposta).
• «Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti agli uomini. Secondo lei è morale fare arrestare cinquecento persone innocenti o colpevoli per andare a letto con la moglie o l’amante, pagati e protetti dallo Stato? Per me riabilitarsi significa essere coerente con me stesso, pagare gli errori con dignità. La dignità è più forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio. È da anni che i magistrati provano a convincermi. Nel ‘94 il procuratoreFrancesco Greco, per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua moglie. Avremmo potuto avere un figlio. Rifiutai. E sono orgoglioso di aver sempre resistito alla tentazione. Penso che la legge sui pentiti sia un’offesa alla gente onesta e alle famiglie delle vittime» (Berizzi, cit.).
• Il 30 ottobre 2007, dopo l’ennesimo tentativo di inseminazione artificiale, nasce Denise, figlia di Raffaele Cutolo e Immacolata Iacone. «Quando sarà grande magari qualcuno le racconterà delle cose. Saprà chi è suo padre, conoscerà il suo passato, ma Raffaele è mio marito, l’uomo che amo. Non potrei mai immaginare la mia vita senza di lui» (Immacolata Iacone).
• Cutolo, come sta?«Come un uomo che si prepara a morire in carcere» (ibidem).
• Autore di poesie, la sua opera prima è Poesie e pensieri, esaminata da Sergio Pirro, psichiatra, che intervistato da Luciano Giannini, disse: «Ha uno stile sciatto, non conosce bene l’italiano e neanche il dialetto che si scrive in modo colto, non come fa lui… Una sensibilità c’è, non v’è dubbio. Se non altro perché Cutolo è stato capace di accettare suggestioni letterarie, di mettere insieme uno scritto che della poesia ha, qualche volta, l’apparenza. Inoltre, il fatto stesso che scriva poesie e pensieri, lo mostra sotto una luce diversa, che non è quella del capobanda spietato, incallito, pragmatico, di matrice nordamericana. Il primo tema è la solitudine. Non riesco a pensare di quest’uomo diversamente da come egli stesso dice, cioè “solo”. Cutolo cerca di dare di sé una immagine diversa da quella reale. Non il duro, il dittatore, il distruttore, ma il perseguitato, l’abbandonato, il solitario, colui che cerca l’amore della mamma e della donna» (Baglivo).
• Il 21 maggio 2008 fu uccisa anche sua suocera, Pasqualina Alaia, di anni 78, non per vendetta ma dal figlio, Giovanni Iacone, che non sopportando più di sentirsi dire sei un buono a nulla, la prese a martellate (cercato e trovato nella stazione della Circumvesuviana, minacciò i carabinieri con un revolver, e poi si precipitò a perdifiato lungo i binari, finché non fu arrestato, sotto la pioggia, nella stazione di Sant’Anastasia, dove consegnò, oltre al revolver, accetta e cesoia).

Giorgio Dell’Arti - Massimo Parrini
Catalogo dei viventi 2009, Marsilio
scheda aggiornata al 5 ottobre 2008

Il poeta Raffaele Pisani: "Cutolo è un uomo sinceramente cambiato"

Il Poeta Raffaele Pisani
In una nota postata nella pagina facebook del nostro blog (dedicata alla rassegna dei fatti storici orbitanti attorno alla figura del famoso boss della N.C.O. Raffaele Cutolo) il poeta Raffaele Pisani ha rilasciato una dichiarazione in merito al dibattito su una eventuale revisione delle misure carcerarie nei confronti dello storico camorrista di Ottaviano.

Il poeta scrive:

Mi sono fermamente convinto della svolta che Cutolo stava dando alla sua vita sin dal 1990, cioè da quando Raffaele mi inviò il suo libro "POESIE E PENSIERI" Edizioni Berisio, Napoli 1980 - e subito dopo le nuove poesie che mano a mano scriveva. La convinzione della "nuova vita" di Raffaele Cutolo divenne certezza sia leggendo appunto le sue nuove poesie e i nuovi "pensieri", sia parlandone con Nons. Raffaele Nogaro, Vescovo di Caserta e suo padre spirituale. Ribadisco, come ho sempre detto, facendo mie le sante parole pronunciate da Papa Roncalli, "il peccato va sempre condannato, il peccatore va aiutato, in particolare quando sinceramente lascia la via del male e imbocca quella del bene".
Raffaele Cutolo
Naturalmente le decisioni finali spettano alla magistratura che saprà valutare con giustizia e imparzialità i nuovi elementi che le saranno forniti.







Di seguito un'intervista che delinea la figura e lo spessore del poeta Raffaele Pisani

lunedì 12 agosto 2013

PETIZIONE PER CONCESSIONE DI MISURE ALTERNATIVE AL 41 BIS PER RAFFAELE CUTOLO


La raccolta firme per la concessione di misure alternative al carcere per Raffaele Cutolo e’ un “mission” umanitaria e di civilta’, perche’ e’ importante che nella nostra societa’ democratica il diritto non sia solo una parola ma si coniughi realmente con il senso di umanita’ e giustizia e non sia “giustizialismo ideologico”. La proposta vuole essere, altresi, un’iniziativa “critica” rispetto a normative “eccezionali” ( art 41 bis dell’O.P.) , talvolta eccessive rispetto ad atteggiamenti di ravvedimento operoso e di conversione, che sono diventate, in dispregio della Costituzione Italiana ed alla Carta internazionale dei Diritti Umani, un “credo ideologico” ma inefficaci rispetto allo sdradicamento della criminalita’ organizzata che tra l’altro intravede un nuovo protagonismo culturale quello delle donne, alimentato in pratica, tramite il 41 bis. La Giustizia e’ veramente “giusta” se la sua misura e' la Civilta’ , il senso dell’umanita’ ed il recupero sociale del detenuto, chiunque esso sia e qualunque crimine abbia commesso. Lo stato di privazione della liberta' personale nelle condizioni di ristretto in carcere per i reati penali gravi e/o efferati non puo' essere una vendetta sociale nei confronti del reo , se a questi non si da la possibilita' di reinserirsi socialmente. Grazie per attenzione con preghiera di dare diffusione all’iniziativa. Dott. Francesco Franzese  

Per firmare : 

La poesia fa miracoli. Anche a Raffaele Cutolo

Nei giorni scorsi Il Mattino di Napoli ha pubblicato un articolo relativo all’iniziativa del sig. Francesco Franzese, componente del centro “Don Peppe Diana” di Saviano (NA), che ha lanciato una petizione on line per ridurre il 41-bis a Raffaele Cutolo e applicargli misure alternative, sia per le non buone condizioni di salute, sia per gli anni già trascorsi in carcere (oltre mezzo secolo). Il Mattino pubblica anche un’intervista al procuratore Cafiero de Raho ed al sig. Antonino Salvia, figlio di Giuseppe Salvia, vice direttore del carcere di Poggioreale, che pagò con la vita “l’affronto al capo della Nco che aveva osato perquisire per far rispettare la legge”. Il procuratore de Raho e il sig. Salvia sono molto perplessi per questa petizione, oltretutto proposta dal centro “Don Peppe Diana”, il prete ucciso dai Casalesi. E’ chiaro che sarà la magistratura a decidere in merito. Per quello che può valere sento di esprimere il mio pensiero e di dare la mia testimonianza.Io credo che non sia assolutamente detto che chi commette un delitto non possa poi ravvedersi, aiutato in questo anche da qualche lettura ispirata e, perchè no, anche dalla scoperta della poesia che ti permette di tirare fuori sentimenti nascosti e ti aiuta a scoprire un sentire più elevato. Questo è capitato anni fa a Raffaele Cutolo che nel suo percorso di recupero, aiutato in questo anche dal Vescovo di Caserta Mons. Raffaele Nogaro, ha cercato di dare alla sua vita una direzione diversa. Cutolo, approfondendo la lettura e lo studio di grandi poeti e scrittori ha cominciato a scrivere appassionandosi alla poesia (alcune sono davvero belle), e questa “fiamma” comune ci ha fatto conoscere anche se solo per lettera. Così ho saputo del grande amore che lo lega a sua moglie Immacolata allietato anche dalla nascita di una bimba avuta con l’inseminazione artificiale. Non ci siamo mai conosciuti personalmente, ma siamo amici proprio per l’amore che ci lega alla poesia, a Napoli, alla parola di Cristo. Cutolo è ancora in carcere, però è un “uomo libero” nel cuore e nel pensiero. Un uomo nuovo che si può permettere adesso di dire ai giovani: “lavorate onestamente, con impegno; non fatevi lusingare e ingannare da falsi profeti e da facili guadagni; rispettate le regole, evitate i malfattori, confidate nella giustizia”.

Che straordinaria medicina è la poesia per il cuore dell’uomo! E che miracoli sa compiere l’amore!
P.S. Se a qualcuno può interessare, nell’ottobre del 2000, proprio perchè ho sempre creduto, e fermamente credo nel potere educativo e catartico delle buone letture, feci dono alla Biblioteca della Casa Circondariale di Poggioreale - Napoli, circa duemila volumi di poesie, saggi, storia, aneddotica e letteratura varia. Libri da me raccolti, con notevoli sacrifici, sin dal lontano 1952.
Fonte: oggi.it
Raffaele Pisani – www.raffaelepisani.it -  95124 Catania

sabato 10 agosto 2013

Che cosa c'entra Silvio Berlusconi con Raffaele Cutolo?

Silvio Berlusconi
Sempre più persone ci scrivono o commentano i post del nostro blog chiedendosi e chiedendoci cosa centri Silvio Berlusconi con lo storico boss della Nuova Camorra Organizzata. Ebbene, allo stato attuale non c'è nessuna inchiesta che possa far mettere in correlazione il nome del delinquente di Arcore (da oggi lo si può definire con questo sostantivo, visti i tre gradi di processo che lo hanno riconosciuto come tale)  col boss di Ottaviano. I due nomi vengono accostati da quando alcuni quotidiani hanno parlato delle passate vicende dell'avvocato Luigi Cesaro, detto "Giggino a' Purpetta", in cui il noto politico di Sant'Antimo fu vittima di richieste estorsive proprio dagli uomini del boss di Ottaviano. Le vicende risalgono agli anni settanta, poi Cesaro ha fatto il suo percorso artistico fino a diventare prima Presidente della Provincia di Napoli e poi parlamentare, sempre in quota Popolo della Libertà. Ecco tutto.

martedì 6 agosto 2013

Il magistrato Greco: «Cutolo libero? Ricominci a parlare»

Il pm: nel '94 iniziò il racconto dei segreti del clan

di Antonio Manzo
«Cutolo libero? È uno schiaffo allo Stato. È la resa della giustizia di fronte a misteri criminali inesplorati, a partire dalla trattativa tra Dc, camorra e terrorismo degli anni Ottanta e nel dopoterremoto. Il boss è stato un leader nazionale del crimine organizzato dai collegamenti solidi con la politica, la finanza e l’economia tutt’altro che archiviati. Cutolo ha pesato sulla Repubblica più di quanto si possa immaginare. Sì, proprio lui, impropriamente circoscritto come boss di Ottaviano o capo della Nco».

Alfredo Greco è pm a Vallo della Lucania, dopo una carriera anche al vertice dell’Antimafia di Salerno negli anni della guerra di camorra. Nel 1994 è lui che raccoglie e verbalizza, a mano e con la penna inchiostro verde, i «colloqui investigativi» con Raffaele Cutolo: il boss avvia la dissociazione dal mondo criminale e poi viene fermato dai servizi segreti e poi si blocca la notte che deve essere trasferito dal carcere di Carinola ad un appartamento segreto appositamente costruito, per lui e la giovane moglie Immacolata, in una caserma dei Carabinieri a Salerno. Lo Stato perse anche i soldi della ristrutturazione dell’immobile.

Cosa ricorda della notte della retromarcia di Cutolo?
«Quella notte da una parte ci sono io, insieme ad un capitano dei carabinieri. Uomini dello Stato che avevamo seguito la prima fase della dissociazione di Cutolo; dall’altra, a pochi metri da noi, e negli stessi corridoi gli uomini dei servizi segreti che hanno già sconsigliato al boss di proseguire il percorso di dissociazione. Di fronte a noi, l’altro Stato tragicamente presente nella storia italiana e quella notte minaccioso contro di noi, con un inseguimento di auto e moto sull’autostrada Salerno-Caserta».
Come comincia la dissociazione?
«Cutolo me ne parla dopo la mia requisitoria nel processo per l’omicidio di un bimbo di san Giuseppe Vesuviano, Casillo. Mi dice: mi avete convinto, sono stato io a uccidere il bambino. Primi approcci».
Il primo colloquio.
«È lui a dire: ”Da dove cominciamo?” E io rispondo: ”Dalla prima Comunione”. Sorride e comincia a parlare con compiutezza, correttezza e fiducia estrema».
Il primo riscontro significativo delle parole del boss.
«Ci fa ritrovare una pistola, pronta per l’uso, murata nel carcere di Poggioreale. Gli era stata consegnata da un magistrato, poi arrestato. È un valore simbolico ma efficace del linguaggio criminale».
In che periodo matura la decisione del boss?
«Negli anni in cui la criminalità chiede la «soluzione politica» con la dissociazione. Il clan Mocca il 17 febbraio ’94 fa trovare un carico di armi di fronte al tribunale di Salerno. Gesto preannunciato da monsignor Riboldi. Cutolo scrive anche a Violante, allora presidente della commissione parlamentare antimafia, e dichiara la volontà di dissociarsi».
Il primo capitolo dei quindici verbali.
«Il sequestro Cirillo, la trattativa con uomini della Dc, dei servizi segreti e delle Brigate Rosse. Parole devastanti, a pochi anni dalla linea della fermezza dello Stato sul sequestro e l’assassinio di Moro e della sua scorta».
Nella trattativa cosa garantisce lo Stato a Cutolo?
«Fette consistenti della gestione del dopoterremoto. Politica, affari e crimine. E questo si sa. Ma non sono noti i retroscena inquietanti di una trattativa che fa contare servitori dello Stato vittime innocenti della camorra».
Secondo capitolo dei quindici verbali.
«Cutolo parla e fornisce elementi utili nell’ambito di una indagine già sviluppata dalla procura di Salerno su una montagna di titoli di Stato falsificati e immessi sul mercato finanziario. L’indagine plana a Torino, con l’arresto del medico di Gianni Agnelli e di esponenti della massoneria di Montecarlo».
Il procuratore Federico Cafiero de Raho: Cutolo libero sarebbe ancora capace di riorganizzare fila criminali.
«Ha perfettamente ragione. Intervento deciso, puntuale ed opportuno».
Perchè?
«Anche lui sa che Cutolo non è solo storia della criminalità, ma è il leader di una politica criminale dispiegata, negli anni Ottanta-Novanta, sulla società e nella cultura meridionale».
Quindi, stop a Cutolo libero o con 41 bis allentato?
«Nessun dubbio. Perdonismo ipocrita e resa dello Stato. Il boss ricominci a parlare da dove si fermò nel ’94. O meglio fu fermato dallo Stato deviato».
Cosa potrebbe rifare Cutolo libero?
«Oggi, con la lucidità criminale che potrebbe ancora ritrovarsi, Cutolo inizierebbe a gestire un welfare parallelo per assistere chi è in difficoltà, ad esempio. O gestire l’economia in depressione. Perchè da noi lo Stato, oggi più di ieri , appare ancora lontano con le sue regole e la sua autorevolezza. E spesso, la Giustizia arriva con il torto del drammatico ritardo a riconsegnare le ragioni agli onesti».
fonte: Il Mattino
lunedì 5 agosto 2013