mercoledì 27 giugno 2012

Pasquale Scotti, detto 'o Collier



Pasquale Scotti (Casoria, 8 Settembre 1958), detto Pasqualino 'o collier per aver regalato un collier alla moglie di Raffaele Cutolo, ma conosciuto anche come 'o 'ngegnere (l'ingegnere), è stato uno dei più fedeli alleati del boss di Ottaviano, rappresentandone la cosiddetta batteria o braccio armato. Dopo il trasferimento di Cutolo all'Asinara, e il maxi-blitz del giugno 1983, Scotti tenta di riorganizzare le file della NCO.

Pasquale Scotti viene arrestato a Caivano il 17 dicembre del 1983 grazie ad un'operazione diretta dall'allora capo della squadra mobile Franco Malvano. È accusato di essere il mandante dell'omicidio di Giovanna Matarazzo detta Dolly Peach, una ballerina di un night club romano legata sentimentalmente a Vincenzo Casillo.

In realtà, il suo potere deriva da numerosi altri crimini (omicidi, estorsioni, riciclaggio, controllo dello spaccio di stupefacenti). Nel corso della detenzione, sembra decidere di collaborare, rivelando diversi aspetti della NCO, l'organizzazione cui era affiliato. Ma si tratta di una collaborazione fittizia. Scotti evade infatti la notte di Natale del 1984 dall'ospedale civile di Caserta dove era stato ricoverato per una ferita alla mano. È ricercato dal 1985 per omicidio ed occultamento di cadavere. Dal 17 gennaio 1990 è ricercato anche in campo internazionale e fa parte dell'Elenco dei latitanti più pericolosi d'Italia. Sulla sua sorte sono state formulate nel corso degli anni le ipotesi più disparate: a quanto sembra non ci sarebbe certezza sul fatto che sia ancora in vita.
Nel 2005, la terza sezione della corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere, condanna il boss all'ergastolo.

Luigi Cesaro, dal 2009 presidente della Provincia di Napoli, ha ammesso che, nel corso degli anni ottanta, chiese la protezione di Rosetta Cutolo al fine di sottrarsi alle pesanti richieste estorsive del gruppo di Pasquale Scotti
fonte: wikipedia




Pasquale Scotti, affarista superlatitante E l’ultimo business sotto la Madonnina
Il boss cutoliano è il più longevo fuggiasco. Ricercato dal 1984 rientra nella lista dei primi trenta. Oggi un'informativa della squadra mobile di Napoli per la prima volta rivela i suoi interessi a Milano, svelando nome e cognome di colui che ne avrebbe protetto la latitanza


di Nello Trocchia | 24 ottobre 2011 (Il Fatto quotidiano)


Nella lista dei ricercati il più longevo è lui. Si è dato alla macchia 27 anni fa, ma i riflettori restano spenti sulla sua fuga. Lo chiamano l’ingegnere, per i modi dotti, oppure o’ collier per aver omaggiato la moglie del suo capo con un girocollo da 50 milioni di vecchie lire. Pasquale Scotti, da Casoria, provincia di Napoli è tranquillo perché diverse fonti lo indicano vivo e attento ai suoi affari, in una nuova veste di imprenditore che lo vede protagonista sulla piazza di Milano attraverso un personaggio già emerso in un’indagine di ‘ndrangheta. Eppure sulla sua figura il mistero resta fitto visto che di tanto in tanto rimbalzano voci sulla sua possibile morte, l’ultima di un pentito della ‘ndrangheta Franco Pino.

Di certo la polizia di Stato ha diramato un nuovo identikit del latitante e chiarito: “I suoi legami con la sua terra d’origine e con i suoi familiari sono però stati accertati attraverso diversi indizi”. La sua latitanza inizia nel 1984 quando scappa dall’ospedale di Caserta dove è ricoverato dopo l’inizio della sua collaborazione, fittizia e finalizzata alla fuga. Scotti, secondo la magistratura, è un killer spietato al servizio di Raffaele Cutolo, o professore vesuviano, il suo fedelissmo. E’ capace con le armi, ma è anche una mente raffinata.

Oggi con una faccia ritoccata sarebbe impegnato nel settore dei videogiochi e nell’attività imprenditoriale attraverso una rete di vecchi amici e nuove alleanze. Amici come Mauro Russo (non indagato) che emerge da un’informativa della squadra mobile di Napoli. Il suo nome sta agli atti dell’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta al nord. Secondo quando si legge nel documento, Russo è vicino a Scotti, tanto da “averne curato gli interessi”. Mauro Russo, originario di Casoria, da anni ormai si è trasferito a Milano. Di più: oltre ad avere collegamenti con Scotti, incrocia gli interessi con la ‘ndrina Valle e con i Moccia, egemoni ad Afragola, in provincia di Napoli. Famiglia criminale quest’ultima che ha perseguito la linea della dissociazione, ma nessun pentimento. Russo è anche lui nato e cresciuto nel contesto criminale che vede Scotti spadroneggiare. Il casellario di questo campano, oggi perfettamente integrato nel sistema imprenditoriale lombardo, racconta di precedenti per associazione mafiosa e condanne per estorsione e associazione a delinquere. Tutte vicende risalenti agli anni ’80. Epoca prima dominata dai cutoliani e poi, dopo il tramonto di Cutolo, dalla nuova famiglia.

La chiave quella dei rapporti tra Scotti e Russo viene fornita dal collaboratore di giustizia Michele Froncillo (pentitosi nel 2007), ai vertici del clan Belforte, egemone nell’area casertana che ha spiegato l’interessamento al settore del gioco del gruppo criminale di appartenenza proprio attraverso l’intercessione del solito Mauro Russo che vanta contatti anche con i cutoliani presenti in Germania, dove Scotti in passato si sarebbe nascosto. Tra i contatti di Russo emergono quelli con Angelo Moccia, uomo di vertice dell’omonimo clan, confinato in carcere a Voghera. Rapporti mediati da Giuseppe De Luca (non indagato), imprenditore edile, un passato tra i cutoliani poi legato proprio ai Moccia di Afragola. De Luca si sente con Russo da un cellulare intestato alla Del Gap Costruzioni, società con lavori e appalti in tutta Italia. La Del Gap è stata destinataria anche di informativa antimafia ‘atipica’, annullata dal Consiglio di Stato, nell’aprile 2010. La sentenza sostiene che la proprietà è del figlio di De Luca e della madre. E dunque le parentele non sono sufficienti a comprovare il rischio condizionamento.

Giuseppe De Luca, già condannato per camorra negli anni ’80, è cognato proprio di Angelo Moccia. Crocevia di questi rapporti criminali è proprio Mauro Russo, esperto di primo livello nella gestione e nella fabbricazione di macchine mangiasoldi. La Gr games, a lui riconducibile, ha sede ad Arzano, territorio dei Moccia, ma anche un capannone a Trezzano sul Naviglio, paese di quell’hinterland a sud di Milano da anni infiltrato dalla criminalità organizzata. Insomma Scotti avrebbe attraverso Russo ed altri soggetti riannodato le fila dei rapporti e investito il suo ingente patrimonio nel settore remunerativo dei giochi.

Una triangolazione criminale che trova conferme. I Belforte, in particolare i fratelli Domenico e Salvatore sono cutoliani di ferro negli anni di dominio del professore vesuviano. Alcuni investigatori forniscono un ulteriore dettaglio. Tra le carte delle inchieste sui Belforte, ci sarebbe un’intercettazione tra il boss Pino Buttone e una donna, la quale all’ennesima richiesta su uno yacht da assicurare risponde: “ Ma quello è latitante da 30 anni”.

Il riferimento, sostengono gli investigatori, potrebbe essere proprio a Pasquale Scotti. Ma Scotti resta un fantasma, che ricompare sul manifesto funebre del fratello Giuseppe. “ Un’informatore – racconta un altro inquirente – ma un informatore ci ha spiegato che partecipò anche ai funerali vestito da prete, a Casoria vive anche l’anziana madre”. Pasquale Scotti ha anche una sorella, estranea alle vicende di camorra, impegnata nel settore dei laboratori sanitari, il marito è medico nell’ospedale casertano noto per la fuga del boss. Il nipote del latitante, Pietro Scotti, figlio del fratello Giuseppe, ha ereditato le aziende del padre, impegnate nel settore delle costruzioni.

L’amore per la famiglia ha spesso tradito i boss. Non sembra il caso di Pasquale o ‘colier. Ma a spiegare la latitanza del boss c’è anche altro come i segreti che Scotti custodisce. Il passato del latitante si lega con la vicenda della liberazione di Ciro Cirillo, l’assessore democristiano rapito dalle Br nel 1981 e liberato grazie all’intercessione di Cutolo. Scotti sa molto di quel passato di rapporti con pezzi dello stato e con agenti dei servizi segreti: “ Non è escluso – ci racconta un altro inquirente – che ne favoriscano la latitanza”.

Camorra e politica. Tra gli ultimi a vedere Scotti c’è stato Luigi Cesaro, nessuna omonimia, si tratta dell’attuale presidente della provincia di Napoli. Oggi Cesaro è con l’amico Cosentino un pezzo importante del Pdl campano, ma negli anni ’80 si vedeva con gli uomini della camorra. Cesaro in primo grado fu condannato a 5 anni per i suoi rapporti con i cutoliani, faceva anche da postino, portava i pizzini del clan. Cesarò è stato poi assolto, da postino. Dopodiché Gigino a purpetta, questo il suo soprannome, diviene vittima dell’estorsore Scotti, ma, come spiegherà ai giudici, incontra o’ colier, allora latitante, per consegnargli un bigliettino di Rosetta Cutolo. Da allora o’ colier è imprendibile.

martedì 26 giugno 2012

Don Raffaé, la canzone che De André scrisse ispirandosi a Cutolo

"don Raffaè, Voi politicamente,
io ve lo giuro, sarebbe 'nu santo...
ma 'ca dinto voi state a pagà
e fora chist'ate se stanno a spassà"


E' senza ombra di dubbio da inserire tra le dieci canzoni italiane più belle mai scritte nel ventesimo secolo. Musica e parole degne veramente di un grande artista quale è stato Fabrizio De Andrè. Sul significato che esprime si potrebbero scrivere libri, e in effetti lo si sta facendo da qualche tempo a questa parte, da quando scrittori del calibro di Pino Aprile hanno ridato linfa alla vecchia "Questione Meridionale". Linfa che sta iniziando a scuotere le coscienze del popolo napoletano, ma non dei suoi politici: peggio per loro!

Sulla canzone vi sarebbero anche alcuni aneddoti che varrebbe la pena di citare. Primo fra tutti il carteggio tra Cutolo e il famoso cantautore genovese.


COME NELLA CANZONE " DON RAFFAE' "
De Andre' : io fui facile profeta, me lo confermo' Cutolo


Fabrizio de Andrè
Fabrizio De Andre' sta per salire sul palco per la prova generale del suo nuovo concerto. Per la seconda volta in pochi mesi un fatto di cronaca ricorda una sua canzone. Prima la professionista dell'amore cacciata dalle donne di un paese (come in "Bocca di Rosa"), ora la connivenza mafiosa del vicecapo degli agenti di custodia di un famoso carcere, proprio come viene narrato nella canzone "Don Raffae". "Be', sono un profeta, come Geremia, come Isaia - scherza De Andre' -. Non ci voleva molto per immaginare che un capo della camorra avesse al suo soldo qualcuno del carcere. Con gli stipendi che passa lo Stato ai secondini e la forte personalita' di certi capi camorristici e mafiosi non c'e' da stupirsi se si creano connivenze e legami profondi. La canzone "Don Raffae'" alludeva a Raffaele Cutolo, ma ovviamente ne' io ne' Massimo Bubola, coautore del brano, disponevamo di notizie di prima mano sulla sua detenzione. Immaginate la mia sorpresa quando ho ricevuto una lettera di Cutolo che mi faceva i complimenti per la canzone e aggiungeva: "Non capisco come abbia fatto a cogliere la mia personalita' e la mia situazione in carcere senza avermi mai incontrato". Non si era offeso e gli era piaciuto il verso "Don Raffae' voi politicamente, io ve lo ggiuro sarebbe nnu santo" ed anche quello in cui il secondino gli chiede il favore di trovare un posto di lavoro a un suo parente. Alla lettera Cutolo aveva allegato un libro di sue poesie. Almeno un paio davvero pregevoli. Gli ho riposto per ringraziarlo. Recentemente - conclude De Andre' - mi ha scritto ancora. Pero' stavolta non gli ho risposto. Un carteggio con Cutolo non mi sembra il massimo. Per finire in manette basta assai meno".

Articolo del "Corriere della Sera" del 12 Febbraio 1997



Versione Registrata con immagini del Film "Il Camorrista"

Versione Live



Don Raffaè è una canzone scritta da Mauro Pagani per la musica e da Massimo Bubola e Fabrizio De André per il testo.

La canzone, tratta dall'album Le nuvole del 1990, è particolare in quanto cantata in napoletano. La canzone è stata anche incisa cantata in duetto con Roberto Murolo, che l'ha inserita nel suo album di duetti Ottantavogliadicantare (1992); tale versione è stata inserita anche nella raccolta del 2008 Effedia - Sulla mia cattiva strada. La canzone è stata altresì inserita nell'antologia postuma Da Genova, uscita alla fine del 1999.
Storia

Don Raffaè nasce dalla collaborazione di Fabrizio De André con Massimo Bubola per la stesura del testo, e con Mauro Pagani per la scrittura della musica. L'uso del dialetto non è comunque inusuale per lo stile dell'artista, in quanto appartenente al periodo della svolta world del cantautore.

La canzone è una denuncia della critica situazione delle carceri italiane negli anni ottanta, e della sottomissione dello Stato al potere delle organizzazioni malavitose.

Don Raffaele Cutolo
Nel brano si narra infatti di Pasquale Cafiero, un brigadiere di Polizia Penitenziaria del carcere di Poggioreale ormai sottomesso e corrotto da un boss malavitoso in galera, il Don Raffaè del titolo, a cui la guardia chiede diversi favori (prestargli un cappotto, trovare un lavoro a un suo fratello disoccupato da anni) e offre ripetutamente un caffè, ma anche la condizione di vita agiata all'interno del carcere dello stesso bos. Il brigadiere ha come unica speranza di miglioramento della propria condizione, quella di chiedere intercessione al boss Don Raffaè: per trovare lavoro o una casa, per ottenere giustizia, ma anche per un cappotto elegante da poter usare ad un matrimonio.

Secondo le parole dello stesso De Andrè, «la canzone alludeva a Raffaele Cutolo» noto camorrista e fondatore dellaNuova Camorra Organizzata, sebbene né lo stesso De Andrè né il coautore Massimo Bubola disponessero «di notizie di prima mano sulla sua detenzione». Anche lo stesso Cutolo pensò a una dedica alla sua persona e scrisse al cantautore genovese per chiedergli se “Don Raffaè” fosse effettivamente lui e per complimentarsi, meravigliandosi inoltre di come De Andrè fosse riuscito a cogliere alcuni aspetti della personalità e della sua vita carceraria, senza avere a disposizione informazioni dettagliate. De Andrè rispose alla lettera di Cutolo per ringraziarlo, ma evitò di continuare il carteggio con il boss, e lasciandolo libero di pensare che la canzone fosse dedicata a lui o meno.

Il ritornello della canzone è ripreso chiaramente dal brano O ccafè di Domenico Modugno.

Una incisione del brano è stata realizzata in coppia con Roberto Murolo, ed una esecuzione è stata cantata dai due in occasione del Concerto del Primo Maggio del 1992.

lunedì 25 giugno 2012

PASQUALE BARRA, detto 'o Nimale (l'animale)

Pasquale Barra (Ottaviano, 18 gennaio 1942) è un criminale italiano. È considerato uno degli esponenti di spicco della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Dissociatosi da Cutolo, Barra attualmente sconta l'ergastolo. È stato uno dei principali accusatori di Enzo Tortora.


LA CARRIERA

Affiliatosi prima come capozona di Ottaviano e poi come santista, Barra vanta 67 omicidi di cui molti compiuti nelle diverse carceri italiane dove ha soggiornato frequentemente dal 1970. Nel gergo della mala, gli vengono attribuiti due nomi: o ' studente - in riferimento allo stretto legame con Raffaele Cutolo, detto o' professore - e o ' nimale per la crudeltà e l'efferatezza dei suoi delitti.

La stampa lo ha soprannominato il boia delle carceri per l'incredibile facilità con cui uccide i carcerati su commissione. Si pensi, ad esempio, all'omicidio di Francis Turatello, malavitoso milanese. La terribile esecuzione - compiuta nel carcere Badu'e Carros di Nuoro il 17/8/1981 – è ricordata per la modalità efferata: Barra ferisce l'uomo con quaranta coltellate e lo squarta azzannando alcuni organi interni con l'aiuto di Vincenzo Andraous. Questo episodio è rievocato da Giuseppe Marrazzo nel libro Il Camorrista. Vita segreta di don Raffaele Cutolo e ripreso nel film Il camorrista di Giuseppe Tornatore. Tuttora, la stampa ricorda questo omicidio come uno dei più feroci compiuti in Italia.

Barra ha commesso altri omicidi in carcere; oltre al brutale assassinio di Francis Turatello, si ricorda l'esecuzione di Antonino Cuomo, capozona di Castellammare di Stabia, e quella compiuta ai danni di Domenico Tripodo, capo'ndrangheta calabrese. Il 23 novembre del 1980, nel corso del terribile sisma che colpì il capoluogo campano, Barra partecipò ad una rissa nel carcere di Poggioreale che costò la vita a tre detenuti e il ferimento di otto camorristi passati ad un clan concorrente. Barra ha avuto un ruolo di rilievo nell'omicidio di Francesco Diana, consigliere comunale socialista di San Cipriano d' Aversa, colpito con trentacinque coltellate nel carcere di Aversa.


LA DISSOCIAZIONE E IL CASO TORTORA

Barra fu il primo a dissociarsi da Raffaele Cutolo e, grazie al suo pentimento, rese possibile il più grande attacco mai portato dalla giustizia alla camorra. Si suppone che Barra si sia sentito tradito da Cutolo il quale, proprio in seguito all'omicidio Turatello e di fronte alle pressioni della mafia siciliana, sostenne di non esserne il mandante.

In seguito alle rivelazioni di Barra e dei pregiudicati Giovanni Pandico e Giovanni Melluso, fu possibile il blitz del 17 giugno 1983 in cui vennero arrestati 850 presunti affiliati della Nuova Camorra Organizzata, tra cui l'insospettabile Enzo Tortora. Barra, al fine di ottenere una protezione in carcere, fornisce liste di presunti camorristi nel corso di 17 interrogatori, ma solo al diciottesimo interrogatorio, il 19 aprile 1983, fa il nome di Enzo Tortoradefinendolo un affiliato alla Nuova Camorra Organizzata e responsabile del traffico di droga. Barra rifiuterà di deporre e di confermare le accuse sia al processo di primo grado che in quello d'appello. Le accuse si riveleranno infondate.

Il pentimento di Barra appare subito controverso. Nel corso delle indagini, i giudici scoprirono uno dei tanti tentativi di estorsione da lui compiuti per approfittare della sua posizione di pentito. Barra aveva scritto una lettera ad un concessionario di Casoria dove il camorrista chiedeva 15 milioni per non fare il suo nome nel corso degli interrogatori. In realtà, quello di Barra non si può definire un vero pentimento bensì una semplice dissociazione da Cutolo per ragioni personali. Infatti, Barra continua a definirsi camorrista

NOTIZIE RECENTI
Nel mese di maggio 2009, nel corso di un'udienza a carico di Raffaele Cutolo, Pasquale Barra ha testimoniato in videoconferenza da una località protetta affermando di non conoscere Raffaele Cutolo e Rosetta Cutolo. Pare che Barra stia realizzando uno sciopero del pentimento.

fonte:wikipedia


(dall'Archivio del partito radicale del 30 Giugno 1984)
Qualcuno lo ha subito ribattezzato il Joe Valachi della camorra. Il paragone appare un po' azzardato anche se il 42enne Pasquale Barra le carte in regola (si fa per dire) del capo clan, ce le ha tutte. Decine di omicidi alle spalle, dentro e fuori dal carcere di Poggioreale (in cui ha risieduto per 10 anni), il nostro eroe è soprannominato nel gergo della mala o 'animale , oppure »o 'studente . E balzato per la prima volta agli onori di tutte le cronache nere nazionali con l'omicidio del boss milanese Francis Turatello nel carcere di Nuoro il 17/8/1981. Barra squartò letteralmente Turatello (dicono che gli abbia azzannato il fegato e le viscere), forse per ordine di Cutolo. Pochi mesi prima aveva massacrato a coltellate Antonino Cuomo, sempre per ordine del capo della Nco. Barra è stato il principale ispiratore del blitz anticamorra del 17 giugno 1983, "il venerdì nero della camorra", in cui vennero arrestati 852 camorristi della Nco. 200 di loro verranno poi scarcerati nell'arco dei tre mesi successivi, soprattutto per errori di omonimia.

Tutti oggi sanno chi è Barra, in particolare perché ha accusato Enzo Tortora di spacciare la cocaina per conto della camorra. Un'assurda accusa che il giornalista televisivo ha sempre respinto e per la quale ancora oggi si trova agli arresti domiciliari.

Barra, che per anni è stato considerato il »boia delle carceri , dopo il suo pentimento è assurto a salvatore della Patria. Eppure, quasi tutti quelli che ha accusato, li ha coinvolti solo per ritorsione; lui, comunque, si arrabbia se lo chiamano pentito, e si professa camorrista verace al 100%.

I settimanali hanno una predilezione per Barra, che, dalle elastiche maglie del segreto istruttorio (quello di Pulcinella), ha fatto giungere interviste e memoriali esclusivi un po' a tutti. Qualcuno lo ha addirittura fotografato all'interno di una camera di sicurezza in una caserma dei Carabinieri.

Che dire poi dello sconcertante atteggiamento benevolo di alcuni inquirenti napoletani nei suoi confronti? Non passa giorno che non sia sollecitato il Ministro di Grazia e Giustizia affinché venga approvata una legge sui pentiti della camorra. Fino a ieri feroce assassino e oggi »prezioso collaboratore ; si sa, le cose della nostra Giustizia vanno così, e anche i Barra hanno i loro momenti di gloria. Specialmente quando le loro »disinteressate dichiarazioni contribuiscono a tenere in piedi i castelli accusatori contro Enzo Tortora. Ma Barra fa di più: in un'intervista ad un settimanale si permette di ammonire la figlia del presentatore, Silvia, a non fidarsi dello scaltro genitore, che viene definito »un mariuolo .

Con il caso Barra il fenomeno pentitismo ha raggiunto il punto del non ritorno, aprendo una nuova oscura epoca per le sorti dello Stato di Diritto in Italia.

giovedì 21 giugno 2012

Giovanni Pandico, detto 'o Pazzo

















Il »grande accusatore di Enzo Tortora, Giovanni Pandico, diventò camorrista in carcere. A Poggioreale entrò circa dodici anni fa, dopo aver provocato una vera e propria strage al municipio di Liveri di Nola, il suo paese natale. Bisogna tornare indietro nel tempo: il 19 giugno 1970 Pandico si presenta negli uffici del Comune in cui è nato 40 anni prima, chiede di poter rinnovare il proprio atto di nascita, perché quello di cui è in possesso» è vecchio e sgualcito . L'impiegato Silvio Nappi comincia a chiedere i dati anagrafici, ma Pandico ha una reazione di stizza:  Ho fretta, non posso attendere . A quel punto entrano altri impiegati dell'anagrafe per rassicurarlo sulla celerità della pratica. Il futuro camorrista pentito, però, è ormai colto da un vero e proprio "raptus schizoide paranoico" : estrae una Beretta calibro nove, di quelle in dotazione alle forze dell'ordine, e comincia a sparare all'impazzata. Sono minuti di terrore nel piccolo municipio di Liveri di Nola; Pandico, ormai fuori di sé, entra nell'ufficio del sindaco democristiano Nicola Nappi e anche lì inizia a sparare. Invano, il vigile sanitario Guido Adrianopoli tenterà di disarmarlo; pagherà con la vita il suo eroico quanto inutile gesto. Alla fine della sparatoria, Pandico si lascia dietro due morti (oltre al vigile, anche l'impiegato Giuseppe Gaetano) e un ferito grave, il consigliere comunale Pasquale Scala.

In carcere, dopo l'arresto, Pandico viene sottoposto a diverse perizie psichiatriche. Il responso è sempre lo stesso: »delirio schizoide di sindrome paranoica . In pratica il Pandico è afflitto da vere e proprie manie di persecuzione, che nei momenti più acuti si traducono in allucinazioni e in deliri. Secondo i suoi compagni di cella nacque così, in un raptus, l'idea di Pandico di »fargliela pagare a quel Tortora . Sta di fatto che l'episodio che lo spedì in galera non fu l'unico né il primo della serie. Già diciannovenne minacciò di morte il padre e alcuni familiari in uno dei suoi raptus omicidi. Fu denunciato per tentato omicidio e arrestato, ma dopo pochi mesi era di nuovo libero.

Di lui Cutolo ha detto che non contava nulla nell'organizzazione della Nco e che il suo unico ruolo era quello di scrivere appunti per lui in carcere. Pandico è anche famoso per essere il pentito più intervistato d'Italia. All'»Espresso , il 24/7/1983, indicò anche i motivi della propria dissociazione. Sostanzialmente, ha detto di essersi convinto a »dissociarsi dalla Nco di Cutolo (Pandico rifiuta l'etichetta di pentito), perché il capo era pronto a concedere la testa di ben »7 compagni nostri dei più valorosi per accordarsi con il clan dei Nuvoletta. Pandico ha detto che per lui la goccia che fece traboccare il vaso fu l'attentato a Casillo deciso da Cutolo, per ritorsione contro il proprio ex luogotenente. In un'altra intervista Pandico arrivò addirittura al colmo di censurare l'operato di Tortora. Rimane tuttora misterioso il canale, il tramite attraverso cui il camorrista pentito è riuscito a fare filtrare tutto questo materiale coperto dal segreto istruttorio. Per ora Pandico si consola giocando a carte in una caserma dei Carabinieri di Napoli e godendo dei privilegi negati ad altri detenuti. Inutile dire che il pentito della Nco spera di ottenere dallo Stato gli stessi privilegi finora ottenuti solo dai terroristi.

Giovanni Pandico è uno degli uomini famosi del clan di Cutolo, personaggio psicolabile e paranoico fino all'inverosimile, è stato descritto e raccontato in centinaia di articoli di giornali italiani come uno spregiodicato che ha fatto soffrire centinaia di persone, ultimo il noto conduttore televisivo Enzo Tortora, cittadino onesto ed esemplare come l'Italia ne ha avuto pochi e a cui tutti gli italiani devono ancora molto.


Pubblichiamo di seguito un articolo di Lino Jannuzzi tratto da Il Giornale del 21 Maggio del 2006 che racconta proprio le vicende legate a Tortora e in cui si traccia un profilo del noto criminale Giovanni Pandico.


Il 18 maggio, giorno dell’Ingiustizia

Il 18 maggio ha segnato il diciottesimo anniversario della morte di Enzo Tortora. Per ricordarlo Mauro Mellini, che fu a lungo deputato radicale e fu anche membro del Consiglio superiore della magistratura, ha lanciato a nome dei Riformatori liberali-radicali per la libertà un appello per istituire una giornata nazionale in omaggio alle vittime dell'ingiustizia: «Una giornata in cui il pensiero vada a coloro che, per errore di uomini o per imperfezione e stravolgimento di istituzioni e di leggi, per devianze delle finalità che la giustizia deve perseguire, sono sacrificati e soffrono, lottando perch´ sia conosciuto il loro buon diritto ma invece, vinti e dimenticati, subiscono pene e umiliazioni che non hanno meritato». Una proposta che ha già raccolto illustri consensi e firmatari: i senatori Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e Alfredo Biondi; i deputati Gaetano Pecorella e Stefania Craxi; i politici Clelio Darida e Benedetto Della Vedova; il giudice Corrado Carnevale; gli avvocati Mimmo Contestabile ed Ettore Randazzo.
Enzo Tortora fu arrestato alle quattro del mattino in un albergo di Roma il 17 giugno del 1983, fu trattenuto fino alle 11 in questura, il tempo necessario perch´ la notizia si diffondesse e si raccogliesse dinanzi al portone una torma di giornalisti, fotografi e teleoperatori, per poi trasferirlo ammanettato e fotografato al carcere di Regina Coeli. L'ordine di arresto per associazione a delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico di armi e di stupefacenti fu spiccato dalla procura di Napoli per le accuse partite da due «pentiti», Pasquale Barra e Giovanni Pandico. Pasquale Barra, detto 'o animale, è un feroce assassino, particolarmente famoso perch´ ha assassinato in carcere Francis Turatello, gli ha sventrato a calci il torace, gli ha strappato il cuore e se lo è mangiato. Giovanni Pandico, psicolabile e paranoico, entrato e uscito dai manicomi giudiziari, ha sparato al padre, ha avvelenato la madre, ha dato fuoco alla fidanzata, ha fatto una strage sul municipio del suo paese, ha sparato al sindaco e alle guardie, uccidendo gli impiegati che tardavano a consegnargli il certificato di nascita.
Sulla base delle dichiarazioni di questi due «pentiti», quel «venerdì nero» vennero spiccati 855 mandati di cattura e vennero arrestati, assieme a Tortora, 412 persone: 87 di costoro saranno scarcerati, perch´ sono stati arrestati per sbaglio, per «omonimia», si chiamavano come quelli indicati da Barra e da Pandico, ma non erano loro. Dopo sei mesi Tortora, che era stato trasferito nel carcere di Bergamo per ragioni di salute, viene trasportato in ambulanza a Napoli, dove nella caserma Pastrengo viene messo a confronto con due nuovi «pentiti», Gianni Melluso, detto «cha cha cha», che racconta di aver consegnato a Tortora pacchi di cocaina agli angoli delle strade di Milano, e Andrea Villa, che gli viene presentato con la testa coperta da un cappuccio nero e giura che Tortora a Milano andava a pranzo e a cena con Francis Turatello. Il 17 agosto 1984, più di un anno dopo l'arresto, Tortora viene rinviato a giudizio e nel frattempo i «pentiti» che lo accusano sono diventati prima 8, poi 12, poi 19. Il tribunale, presieduto dal giudice Luigi Sansone, condanna Tortora a dieci anni di reclusione. Il pm Diego Marmo nel corso della requisitoria finale lo definisce «un cinico mercante di morte».
Ancora un anno, e il 15 settembre 1986 Tortora che nel frattempo è stato eletto deputato europeo, ma si è dimesso per farsi processare, viene assolto con formula piena nel processo d'appello: nella sentenza di assoluzione viene rivelato che i pentiti che accusavano Tortora venivano trattenuti tutti insieme nella caserma Pastrengo e la notte le porte delle celle venivano lasciate aperte perch´ potessero riunirsi, bere e mangiare assieme e concordare le accuse. Assieme a Tortora vennero assolti 114 dei 191 rinviati a giudizio, che assieme agli 87 «omonimi» già liberati e ai 60 già assolti nel processo di primo grado fanno 260, più della metà di quelli arrestati nella famosa retata del «venerdì nero». Otto mesi dopo, il 18 maggio 1987, la Cassazione completerà l'opera, confermando l'assoluzione di Tortora e degli altri 131 imputati e annullando un altro po' di condanne. Ma un anno dopo Tortora morirà, stroncato dal tumore. In quelle orrende mura del carcere, dirà nell'ultima sua apparizione in televisione collegato dal suo letto nell'ospedale: «Mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro... ». Nessun risarcimento alla famiglia, nessuno dei «pentiti» che l'hanno calunniato è stato incriminato (anzi è stata la figlia di Tortora, che aveva querelato il «pentito» Melluso, a essere condannata a pagare le spese), nessuno dei magistrati che l'hanno inquisito, processato e condannato ha pagato (anzi hanno fatto tutti una brillante carriera).
«Il caso Tortora - dice Mauro Mellini - è stato troppo facilmente dimenticato. E dopo la sua vicenda non è cambiato nulla, non solo nella carriera dei magistrati, ma anche nel codice penale. Non si è tratto nessun insegnamento dal caso Tortora. Al contrario, sono convinto che quella storia, una volta che si è messa in movimento e che si è sviluppata come si è sviluppata, ha rappresentato una sorta di prova tecnica di Mani pulite. È a Napoli con il caso Tortora che sono stati provati gli strumenti, i rapporti con l'opinione pubblica, la disponibilità della stampa e dei giornalisti, l'assenza totale di ogni senso critico in ordine alle dichiarazioni dei "pentiti", tutta una serie di cose che hanno dato ai magistrati un senso di onnipotenza nell'uso e nell'abuso dei mezzi che hanno nelle mani. L'unica reazione che allora ci fu, il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, proposto dai radicali e dai socialisti, e stravinto con più dell'80 per cento dei voti dei cittadini italiani, fu vanificato perch´ fu fatta una legge che in pratica ha blindato l'impunità dei magistrati. E i magistrati pretendono che nessuno si permetta di denunciare i loro errori, e i pochi giornalisti che si azzardano a farlo, vengono querelati e condannati dai colleghi di corporazione e di corrente dei querelanti. E la magistratura tende sempre più a dilatare la sua funzione e ad assoggettare le altre funzioni dello Stato... ».

Salvatore di Maio, detto Tore 'o Guaglione, capozona negli anni 80 per Cutolo nel salernitano


Incubo dei gioiellieri Era il luogotenente di don Raffaele
08 luglio 2010 — pagina 02 sezione: Nazionale

• Nato il 22 giugno 1958, nocerino, Salvatore Di Maio, soprannominato "Tore o’guaglione", all’inizio degli anni Ottanta, a soli 24 anni, era ritenuto uno spietato luogotenente del capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo.
• Considerato il braccio armato del boss di Ottaviano nell’Agro-nocerino, tra l’ottobre del 1978 e lo stesso mese dell’80 contro di lui furono emessi 4 mandati di cattura. Di Maio inizia giovanissimo ad infrangere la legge: ad appena 15 anni viene multato per guida senza patente, quindi denunciato per il furto di una gettoniera telefonica. Negli anni successivi si specializza nelle rapine alle gioiellerie, ritenuto vicino al boss di Pagani, Salvatore Serra (detto "Cartuccia", morto "suicida" in carcere nel 1981, alcuni mesi dopo l’omicidio del suo legale, il sindaco di Pagani, Marcello Torre), cambia poi alleanza criminale passando dalla parte di Raffaele Cutolo che si opponeva a Serra per il controllo malavitoso dell’agro-nocerino. Assieme ad Antonio Benigno, Salvatore Di Maio nei primi anni Ottanta è il capo incontrastato della Nco nel Salernitano.
• Viene accusato di omicidi, tentati omicidi, rapine ed estorsioni. Arrestato dopo due anni di latitanza il 5 gennaio del 1981, evade dal vecchio carcere di Salerno il 15 giugno del 1982, due giorni dopo essere stato condannato dalla Corte d’Assise a 13 anni di reclusione per associazione per delinquere, rapina ed estorsione. La sua latitanza dura pochi mesi. Il 12 novembre dell’82 viene catturato dall’allora capitano dei carabinieri di Nocera Inferiore, Gennaro Niglio, che lo insegue sui tetti di una villetta di Pomezia. Imputato in numerosi processi ad affiliati alla Nuova Camorra di Cutolo, è stato indicato tra i killer e i mandanti di diversi delitti. Condannato a 6 ergastoli per altrettanti omicidi durante la mattanza di camorra, è stato prosciolto da alcuni reati ed assolto per altri delitti.
• Di Maio è stato assolto dall’accusa di aver fatto parte del commando che uccise Marcello Torre, il primo cittadino di Pagani freddato sotto casa l’11 dicembre del 1980, delitto per cui ventidue anni più tardi è stato condannato solo il mandante, Raffaele Cutolo. Assoluzione anche per l’omicidio della piccola Simonetta Lamberti, 10 anni, colpita per errore il 29 maggio del 1982, in un agguato il cui obiettivo della camorra era il padre, il giudice Alfonso Lamberti, all’epoca procuratore di Sala Consilina. (a. r. c.)
fonte:La città di Salerno


Il cutoliano Salvatore Di Maio
in estate torna un uomo libero

Ex luogotenente di Cutolo è in carcere da quasi 30 anni,
finito il regime di carcere duro ha ottenuto permessi

Il maxi processo contro la Nco
Il maxi processo
contro la Nco
SALERNO Salvatore Di Maio, ex luogotenente di Raffaele Cutolo nell'Agro sarnese nocerino, entro la prossima estate sarà "uomo libero". Tore o´guaglione, dopo 30 anni di carcere, anche duro (41 bis), con più di 10 omicidi sulle spalle, e senza mai pentirsi, lascerà le patrie galere. Il traguardo sembra ormai solo questione di tempo.Un primo passo già è stato fatto. Faccia d´angelo (nomignolo datogli per l'espressione candida del suo viso), infatti, ha ottenuto un permesso premio, ad inizio anno, al quale farà seguito un secondo, a fine mese. Consentendogli di abbandonare, per qualche giorno, il penitenziario romano di Rebibbia. Ad accoglierlo, i religiosi di un istituto della capitale dove sembra si trovi bene. Per Legge, dopo dieci anni di carcerazione e buona condotta, il detenuto può avanzare richiesta di permesso. Se concesso, dovrà attendere 45 giorni e riformulare domanda. Un percorso "facile" ma non per chi, come Di Maio, ha avuto il 41 bis e non ha mai pensato, minimamente, di collaborare con lo Stato.
Noto esponente della Nco (nuova camorra organizzata) il 54enne, fedelissimo del "professore di Ottaviano", Raffaele Cutolo, controllava, incontrastato, la zona dell'Agro nocerino sarnese potendo contare sulla fiducia del "capo". A consentirgli il rilevante traguardo è stato il suo difensore, il penalista nocerino Antonio Sarno. "E´ il primo caso in Italia di detenuto con 41 bis che ottiene tale beneficio - spiega l´avvocato Sarno. Il mio assistito ha già ottenuto un permesso-premio e non credo ci siano ostacoli tali da bloccarne altri, in futuro. E´ presto per dirlo ma se continuiamo nel solco intrapreso Di Maio potrebbe presto terminare la detenzione, almeno in carcere". L´avvocato è cauto e la parola "libertà" non la cita anche se il percorso intrapreso porta dritto dritto a quell´epilogo. Facendo due conti, infatti, Di Maio ha terminato la pena, i quasi 30 anni di carcere e l´aver ottenuto permessi-premio la dice lunga sul futuro che si prospetta, di qui a poco. E tutto questo, senza dimenticare che l´ex luogotenente di Cutolo non si è mai pentito. Non ha mai collaborato con la Giustizia, scegliendo la pena, il carcere. Una notizia che circolava da settimane ma che ha trovato ufficialità solo dopo il primo permesso, all´inizio dell´anno, quando il nocerino ha potuto passeggiare per le strade di Roma.
"Appena ottenuto il permesso ho sentito il mio assistito, spiega l´avvocato Sarno, e credo abbia provato sensazioni che non viveva da molto". Il noto penalista nocerino pesa le parole ma si intuisce "l´ emozione" avvertita per la libertà. Insomma, Di Maio, ex luogotenente Nco è il primo caso in Italia di detenuto con 41 bis con permessi-premio e a breve la libertà. Sul suo conto si sono spesi fiumi di inchiostro. La sua militanza nell'organizzazione di Cutolo è stata di breve durata se si pensa che è finito in carcere poco più che ventenne. Si è arruolato giovanissimo conquistando la fiducia del "professore". Coinvolto in quasi 15 omicidi, Di Maio è finito nelle maglie della magistratura anche per omicidi considerati "eccellenti": Come la morte del sindaco di Pagani, Marcello Torre, nel 1980. Omicidio per il quale potrebbe anche essere riaperto il fascicolo, almeno come si sussurra da qualche mese. Come dimenticare la morte di Simonetta Lamberti, figlia di appena 10 anni del magistrato cavese Alfonso che, pur di individuare il colpevole non esitò a contattare Di Maio, per incontrarlo di persona. Poi, le numerose faide e le "trasferte" a Napoli, vicino al capo. Inizia pian piano il declino della Nco spa con guerre intestine che portano a 360 morti ammazzati, in un sol anno. Salvatore viene anche arrestato e clamorosamente evade dal carcere di Salerno. Ad acciuffarlo, tra Roma e Latina, è l'allora capitano dei carabinieri Gennaro Niglio.
Rosa Coppola
18 gennaio 2010
Il corriere della sera

Salvatore Serra, detto a' Cartuccia. Uomo di fiducia di Cutolo poi dissociatosi

'COSI' COSTRINSERO UN DETENUTO A TOGLIERSI LA VITA IN CELLA'
19 febbraio 1985 — pagina 13 sezione: CRONACA

NAPOLI - Ecco come viene "suicidato" un boss della mala organizzata, prima amico di Cutolo e poi suo acerrimo avversario. Una lunga "guerra di nervi", messaggi sprezzanti e minacciosi tipo: "Ormai quello non è più un uomo. E' uno che porta in giro il suo cadavere". Salvatore Serra, soprannominato "Cartuccia", era un temuto padrino di Pagani con influenza su un vasto territorio che comprendeva altri centri dell' area salernitana: da Nocera ad Andri a Scafati. Entra a un certo punto in rotta di collisione con il super padrino di Ottaviano, gli fa una spietata concorrenza nel controllo dei traffici illeciti. La reazione del capo della Nco non si fa attendere: sentenza di morte. "Cartuccia" si trova nel supercarcere di Ascoli Piceno, in una cella attigua a quella di Raffaele Cutolo. "Diventerà presto la sua tomba", afferma con durezza il superboss. Pian piano i nervi di Salvatore Serra cedono. Ha un forte esaurimento nervoso. Il racconto della sua morte è riecheggiato ieri mattina nell' aula-bunker grande come uno stadio, all' interno del carcere di Poggioreale dove si celebra il processo al primo troncone della Nuova camorra. E' Giovanni Pandico, uno dei primi camorristi pentiti, a fare l' agghiacciante racconto: "E' stato Gennaro Chiariello, l' ex vice brigadiere che comandava gli agenti di custodia di Ascoli Piceno - dice - a prostrare psicologicamente SalVatore Serra. Lo ha fatto impazzire. Lo ha indotto a salire su un termosifone e a mettere la testa in un cappio. Salvatore Serra minacciava di togliersi la vita e lui lo ha aiutato. Su suggerimento di Cutolo ha dato un calcio al termosifone e "Cartuccia" è rimasto appeso. E' stata una scena straziante". Davanti ai giudici l' ex vice brigadiere protesta la sua innocenza e la sua totale estraneità al fatto. "Non ho commesso niente di quello che mi viene attribuito. Sono tutte infamie. Voglio un confronto diretto con Pandico e gli altri che mi accusano, compreso Ciro Starace. I camorristi cutoliani io li conoscevo soltanto perchè stavano nel carcere dove io prestavo servizio, ma non perchè avessi rapporti con loro". Contro Gennaro Chiariello nessun provvedimento della magistratura di Ascoli Piceno è stato adottato in seguito al suicidio del boss di Pagani. In questo processo, l' ex sottufficiale deve rispondere soltanto di associazione per delinquere e di affiliazione alla Nco. E' stata la giornata di altre guardie carcerarie, a testimonianza delle complicità e delle coperture di cui godevano i camorristi nel supercarcere di Ascoli dove per un lungo periodo è stato detenuto anche Raffaele Cutolo. Pandico e Pasquale Barra hanno fatto i nomi del maresciallo Guarracino e di Rosario Adamo: questi avrebbe consegnato tre pistole a Renato Vallanzasca "in cambio di una notte d' amore con la moglie del bandito". Gli interrogatori sono proseguiti uno dietro l' altro, per diverse ore. Sono stati sentiti alcuni imputati beneventani, poi Giuseppe Radunanza, cugino del più conosciuto Domenico, capozona a San Giuseppe Vesuviano. Angelo Santaniello si è scagliato contro Barra: "E' un menzognero. Ho conosciuto Cutolo ed altri camorristi solo perchè stavamo nello stesso carcere". Pasquale Sassolino, Francesco Batti, i fratelli baresi Angelo e Cosimo Linetti (difesi dall' avvocato Michele Cerabona) che si sono definiti "non gangster, ma borseggiatori non violenti". Cosimo ha detto: "Mi chiamano mani di velluto, ma non ho mai sparato. Ho avuto anche molta sfortuna e sono stato in carcere per venticinque anni. Però il marchio di camorrista non si addice alla mia persona". Emerge una linea di difesa comune per i 251 imputati di questo primo troncone: non conosciamo Cutolo e lo abbiamo visto qualche volta. Non abbiamo partecipato alle azioni della Nco. C' è stato un momento di tensione quando il presidente Luigi Sansone ha allontanato Chiti, Fiorella Pignozzo e Mario Astorina che aveva chiesto ai giudici: "Mi date carta e penna per scrivere un' istanza?". Quando gli è stato risposto di no ha reagito: "Ma allora voi non siete dei giudici. Siete una corte marziale!". Domani arriva Enzo Tortora, incriminato per associazione per delinquere di stampo camorristico e traffico di droga. Dopo l' autorizzazione a procedere data dal Parlamento europeo, l' ex presentatore di Portobello entrerà nel processo al primo troncone della camorra cutoliana. Arriverà a Poggioreale quasi sicuramente in compagnia di Marco Pannella. Per questa mattina, nella sede del gruppo consiliare radicale, Tortora terrà una conferenza stampa. - 
di ERMANNO CORSI
La Repubblica

lunedì 18 giugno 2012

Alfonso Rosanova, santista, il preferito di Raffaele Cutolo

Uno stralcio tratto dal libro di Gigi Di Fiore "Potere Camorrista - quattro secoli di mala Napoli" in cui si delineano le caratteristiche del pupillo di Raffaele Cutolo Alfonso Rosanova...







































Da un articolo del Corriere della Sera, in  cui il figlio di Alfonso Rosanova racconta retroscena inqueietanti della latitanza del padre. di D' Errico Enzo
Pagina 12
(19 giugno 1993) - Corriere della Sera
LE RIVELAZIONI DEL FIGLIO DI ROSANOVA ALFONSO : " I POLITICI SONO RESPONSABILI DELLA SUA MORTE "
il boss frequentava Palazzo Chigi
" mio padre era latitante ma aveva ottenuto da Gava Antonio un tesserino per la presidenza del Consiglio " . potere e malavita, chiesta autorizzazione a procedere contro il dc Russo Raffaele: associazione a delinquere. Rosanova Alfonso padre spirituale di Cutolo Raffaele, venne ucciso nell' aprile del 1982 in una corsia dell' ospedale di Salerno

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Le rivelazioni del figlio di Rosanova: "I politici sono responsabili della sua morte" TITOLO: Il boss frequentava Palazzo Chigi "Mio padre era latitante ma aveva ottenuto da Gava un tesserino per la presidenza del Consiglio" Potere e malavita, chiesta autorizzazione a procedere contro il dc Russo: associazione a delinquere - - - - - - - -


L'UCCISIONE DEI SUOI DUE FIGLI, LUIGI (28 anni con precedenti) e ANIELLO (24 anni incensurato), NEL 1988 A SANT'ANTONIO ABATE, PICCOLO CENTRO IN PROVINCIA DI NAPOLI DI CUI è ORIGINARIO.

CADONO GLI ULTIMI 'CUTOLIANI'
Tratto da La Repubblica
05 luglio 1988 — pagina 21 sezione: CRONACA
La gioelleria Rosanova di via Roma a Sant'Antonio Abate,
luogo presso il quale è avvenuto l'omicidio dei fratelli
Luigi e Aniello Rosanova (di 28 e 24 anni), figli di Alfonso
padrino della NCO capeggiata da Raffaele Cutolo.
NAPOLI Ci sono voluti sette killer e cento proiettili per ammazzare i due figli di Alfonso Rosanova, che fu uno dei più fidati consigliori di Raffaele Cutolo. Il vecchio boss, Alfonso, era stato giustiziato dalla camorra vincente, nella stanzetta di un ospedale salernitano, la sera del 19 aprile ' 82. Ieri mattina, dopo sei anni, è toccato ai suoi eredi fare i conti con la vendetta delle cosche criminali. Un' esecuzione spietata, compiuta sotto gli occhi di decine e decine di persone, che non ha risparmiato un' innocente passante, Annunziata Di Palma di 58 anni. Fortunatamente la donna se l' è cavata con un paio di ferite di striscio. Nulla da fare, invece, per i due bersagli dell' agguato. Luigi ed Aniello Rosanova, rispettivamente di 28 e 24 anni; il primo con numerosi reati alle spalle, il secondo con la fedina penale immacolata. Sono caduti nella trappola mentre passeggiavano in via Roma, la strada principale di Sant' Antonio Abate, un borgo di confine tra la costa vesuviana e l' agro nocerino-sarnese. Le sequenze di questo ennesimo mezzogiorno di fuoco che ha insanguinato la provincia napoletana, resteranno a lungo nella memoria di chi, ieri mattina, si trovava a passeggiare nel corso principale del paese. Le lancette hanno da poco superato le dodici, quando Luigi ed Aniello Rosanova lasciano il loro appartamento di via Roma e scendono in strada. Ad aspettarli ci sono alcuni amici, con i quali i due fratelli si fermano a chiacchierare dinanzi alla gioielleria di un parente. A quell' ora via Roma è gremita di persone: gente che fa spese, ragazzi che ingannano il tempo ciondolando sui marciapiedi. Sembra un giorno come tanti, insomma. All' improvviso, però, due auto di grossa cilindrata una Fiat 131 ed una Lancia Delta sgusciano dal traffico e si fermano a pochi metri dalla gioielleria. A bordo ci sono nove uomini: due restano alla guida delle vetture, mentre gli altri sette spalancano gli sportelli e piombano sui fratelli Rosanova. Sono armati fino ai denti: imbracciano fucili a pompa, mitragliette e pistole calibro nove. Per i due ragazzi non c' è scampo. Hanno appena il tempo di accorgersi dell' agguato, che i killer fanno fuoco. Luigi è il primo a cadere, colpito da oltre venti proiettili. Aniello, anche se ferito, cerca scampo tra le auto in sosta. Zoppicando, fugge tra la folla terrorizzata. Intorno a lui c' è il finimondo: gli assassini che continuano a sparare all' impazzata. La gente che corre in cerca di un riparo. Aniello è stremato, riesce appena a fare venti metri trascinando la gamba ferita. Poi si volta e vede le canne dei fucili puntate su di lui. Almeno trenta proiettili scaraventano il ragazzo sull' asfalto uccidendo. Annunziata Di Palma è lì, a pochi passi. Il terrore le paralizza le gambe. Fra le braccia stringe una busta con il pane che ha appena acquistato dal salumiere. Soltanto quando i killer risalgono in auto e scompaiono in una traversa di via Roma, la donna si accorge che quella busta è imbrattata di sangue. Due colpi, rimbalzati sul selciato, l' hanno ferita di striscio ad una spalla. Ma cosa ha spinto la camorra ad un agguato tanto feroce? E' quello che stanno cercando di scoprire gli investigatori. Gli elementi a disposizione non sono molti. In passato soltanto Luigi Rosanova aveva avuto guai con la giustizia dello Stato e con quella della malavita. Il suo curriculum penale è simile a quello di tanti altri piccoli boss di provincia. Arresti a ripetizione, innumerevoli denunce. Un mese fa era scaduto il soggiorno obbligato che l' aveva confinato a Modena. Già nell' 83, comunque, Luigi era stato ferito alle gambe da un altro commando di camorristi. E sempre a Sant' Antonio Abate, in via Roma. E' probabile che i fratelli Rosanova, a caccia di un posto al sole nella gerarchia criminale della zona, abbiano pestato i piedi a qualche boss dell' entroterra napoletano. E in una terra dove le vecchie mappe del potere camorristico sono state sconvolte da arresti ed omicidi, basta questo a scatenare la vendetta. D' altra parte la famiglia Rosanova non ha mai vissuto giorni tranquilli dopo il tramonto di Raffaele Cutolo e della Nuova camorra organizzata. Il primo a cadere sotto il piombo delle cosche vincenti fu proprio il vecchio Alfonso. Dieci killer lo spedirono all' altro mondo mentre era ricoverato, per disturbi cardiocircolatori, in una stanzetta al quarto piano dell' ospedale Da Procida, a Salerno. Considerato il cassiere della Nco, l' esperto in operazioni finanziarie, Rosanova aveva il compito di riciclare il danaro sporco guadagnato con le estorsioni ed il traffico di droga. Il suo nome comparve nell' ordinanza di rinvio a giudizio contro quarantadue presunti cutoliani firmata, il 17 maggio ' 83, dal giudice istruttore salernitano Domenico Santacroce. Ed in quell' occasione la figura del boss venne accostata a quella dell' allora sottosegretario ai Trasporti, Francesco Patriarca. Fu lo stesso Patriarca, qualche tempo dopo, ad ammettere di aver conosciuto Alfonso Rosanova. In un' intervista raccontò di essersi incontrato con il malvivente soltanto perché questi era interessato alla costruzione di un villaggio turistico alla periferia di Castellammare. Ma non sapevo che fosse un criminale, aggiunse. 

VIncenzo Casillo, detto 'o Nirone, primo braccio destro di Raffaele Cutolo assieme ad Alfonso Rosanova



Vincenzo Casillo

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Vincenzo Casillo (San Giuseppe Vesuviano, ... – Roma, 29 gennaio 1983) è stato un criminale italiano, affiliato allaNuova Camorra Organizzata.


Vincenzo Casillo, detto o' Nirone per la sua capigliatura corvina, è stato uno degli uomini chiave della Nuova Camorra Organizzata svolgendo un ruolo attivo sul territorio mentre Raffaele Cutolo soggiornava nelle diverse carceri italiane. È ritenuto l'autore materiale dell'omicidio di Nino Galasso, fratello di Pasquale Galasso.


L'affiliazione di Casillo alla NCO è anomala. Casillo, a differenza dei primi affiliati, non è un galeotto né un pregiudicato. Figlio di un industriale, dirige una fabbrica di pantaloni a San Giuseppe Vesuviano. Alla fine degli anni 70' si presenta spontaneamente a Poggioreale e in un colloquio con Raffaele Cutolo offre una sostanziosa quota della sua ditta per assicurarsi una piena protezione del boss. Da allora, stringe un rapporto sempre più intenso con il boss di Ottaviano, diventando il suo braccio destro. Insieme ad Alfonso Rosanova, ha svolto un ruolo chiave nel corso del rapimento di Ciro Cirillo avvenuto il 24 aprile del 1981. Com'è noto, alcuni dirigenti della Democrazia Cristiana chiedono l'intervento di Cutolo per la liberazione di Cirillo e il primo contatto con la NCO avviene attraverso Francesco Pazienza, collaboratore dei servizi segreti, che il 17 luglio 1981 incontra ad Acerra Vincenzo Casillo. È proprio lui a gestire la trattativa tra SISMI, NCO, Brigate Rosse e dirigenti della DC. A seguito della liberazione di Cirillo (27 luglio) viene sospeso il decreto di carcerazione predisposto per Vincenzo Casillo. È possibile che questi fosse in possesso di un tesserino dei servizi

Nel 1981, Casillo fa da mediatore tra le famiglie della vecchia camorra campana e la NCO. In principio, si riesce a trovare un accordo per una spartizione territoriale; successivamente, l'accordo salta poiché Cutolo pretende una forte tangente sul contrabbando delle sigarette.

Il Banchiere Roberto Calvi
Secondo alcune fonti, è implicato nella morte di Roberto Calvi (giugno 1982). L'omicidio mascherato da suicidio sarebbe stato commissionato ad alcuni camorristi capeggiati da Casillo.

Il 29 gennaio 1983, a Roma, Vincenzo Casillo - in quel momento latitante - sale a bordo della sua automobile che esplode perché imbottita di tritolo. L'esplosione avviene in via Gregorio VII a poca distanza dalla sede del SISMI. Casillo muore mentre Mario Cuomo, seduto al suo fianco, perderà l'uso delle gambe. La sua compagna, la ballerina Giovanna Matarazzo, dichiarerà al giudice Alemi che la morte di Casillo è collegata all'omicidio Calvi. Il 2 febbraio 1984 la donna verrà ritrovata in un blocco di cemento.

In un primo momento, è lo stesso Raffaele Cutolo ad essere accusato di essere il mandante dell’omicidio di Vincenzo Casillo. Nel luglio del 1993, il pentito Pasquale Galasso, ha riferito che l'omicidio di Casillo fu un chiaro segnale della potenza del clan Alfieri con cui i politici cominciavano ad avere rapporti più stretti. Galasso ha inoltre riferito che il tritolo fu fornito dalla mafia. Per l'omicidio Casillo sono stati condannati all'ergastolo Ferdinando Cesarano e Pasquale Galasso.

Giuseppe Puca, detto 'o Giappone, prima capozona di Sant'Antimo per la NCO poi braccio destro di Cutolo dopo l'assassinio di Casillo a Roma

AGGUATO AL LUOGOTENENTE DI CUTOLO
NAPOLI In fin di vita il più fidato luogotenente di Raffaele Cutolo, fondatore, con lui e la sorella Rosetta, della Nuova camorra organizzata. Un commando di cinque killer ha crivellato di colpi, nel centro di Sant' Antimo e in pieno giorno, Giuseppe Puca, 41 anni, soprannominato ' o Giappone per i lineamenti orientali del viso. I medici del Cardarelli lo hanno tenuto in camera operatoria per molte ore. Aveva dieci ferite al volto, all' addome, alle spalle e alle gambe. Gli inquirenti parlano di regolamento di conti o di vendetta. Negli ultimi tempi sembra infatti che Puca non godesse più della piena fiducia del superboss di Ottaviano. Pare, anzi, che avesse cercato di stringere nuove alleanze, forse con le bande collegate ad Antonio Bardellino, capo della Nuova famiglia, che hanno il predominio in alcuni comuni a nord di Napoli e nell' area casertana. Puca, condannato a molti anni di carcere per associazione a delinquere di stampo camorristico, omidicio, rapine ed estorsioni, era in libertà vigilata per motivi di salute. La sua carriera di boss era incominciata molto presto. Il suo atto più clamoroso fu la liberazione di Raffaele Cutolo dal manicomio giudiziario di Aversa. Con la dinamite ' o Giappone fece saltare il muro di cinta dell' istituto. Cutolo evase con estrema facilità. Altra azione clamorosa di cui venne accusato, l' assassinio di Vincenzo Casillo, il 29 gennaio dell' 83 a Roma. Secondo l' accusa, Puca organizzò materialmente il micidiale agguato. Casillo, depositario dei segreti di Cutolo per quanto riguarda le trattative condotte nel supercarcere di Ascoli Piceno per la liberazione di Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate rosse, saltò in aria nell' auto-bomba. Raffaele Cutolo e la sorella Rosetta, la donna dagli occhi di ghiaccio, vennero ritenuti i mandanti. Tre giorni fa, però, la Corte di assise di Roma ha scagionato Puca assolvendolo con formula piena. Uguale sentenza per Cutolo e la sorella. Ma il tribunale della malavita aveva deciso la eliminazione di Puca. Il commando di killer ha accerchiato il boss mentre parlava con alcune persone davanti a un bar. E' stata una pioggia di proiettili, sparati da pistole, fucili e lupare. Per Puca una corsa disperata, prima all' ospedale di Aversa e poi al Cardarelli. - di ERMANNO CORSI
La Repubblica

domenica 17 giugno 2012

20 Febbraio 2003. Cutolo non si presenta al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per problemi fisici dovuti allo sciopero della fame


Cutolo sta male non sarà in aula per il processo

DUE visite in carcere e un certificato medico. Così il boss della Nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo non è stato più portato da Novara - dove è detenuto - a Santa Maria Capua Vetere. Il certificato, giunto nella cancelleria della Corte ieri in tarda mattinata, attesterebbe le serie condizioni di salute e l' impossibilità per di mantenersi in posizione eretta a causa dello sciopero della fame cominciato la scorsa settimana. Cutolo era atteso per le 13 all' aula bunker del penitenziario sammaritano per il processo sulla Nco, in corso da oltre venti anni, dopo una serie di conflitti di competenze tra gli organi giudicanti di Napoli e Santa Maria Capua Vetere. Era stato lo stesso Cutolo, nei giorni scorsi, ed in concomitanza con il suo trasferimento dal carcere di Belluno a quello di Novara, a chiedere di essere presente, dopo alcuni anni, al processo che lo vede fra i maggiori imputati.
fonte: La Repubblica

Correva l'anno 1987. Cutolo al processo per l'omicidio di Domenico Beneventano, consigliere comunale del PCI di Ottaviano


RAFFAELE CUTOLO E' DIMAGRITO DI 15 CHILI 'DIMENTICATEMI: SONO UN BOSS

l'on. Aldo Moro
NAPOLI Dimagrito (lo sciopero della fame mi ha fatto perdere 15 chili), nervoso (ogni tanto fanno circolare la voce che mi vogliono uccidere o che voglio evadere, ma sono tutte bugie) ma sopratutto desideroso di dare un taglio con il passato (voglio dimenticare il Cutolo del passato anche se non rinnego quello che ho fatto. Ormai sono in pensione e voglio essere chiamato solo Raffaele), Cutolo è apparso ieri nell' aula della prima sezione della Corte di assise di Napoli al processo per l' omicidio del consigliere comunale del Pci di Ottaviano, Domenico Beneventano. Per Cutolo, ritenuto il mandante, ed i suoi presunti complici i fratelli Luigi e Raffaele Esposito, Antonio Fontana ed Angelo Auricchio il pubblico ministero Claudio Rodà chiese nella requisitoria la condanna all' ergastolo. Al termine dell' udienza Raffaele Cutolo è stato intervistato da una troupe della Rai per un servizio che andrà in onda nella rubrica Giallo di Enzo Tortora. Cutolo si è così soffermato sul caso Cirillo. C' è una istruttoria in corso per cui non posso dire nulla ha affermato . Posso solo confermare che da me ad Ascoli Piceno vennero persone note, ma non dei servizi segreti, accompagnate da amici miei d' infanzia ai quali non potevo negarmi. I soldi che mi offrirono li rifiutai. Sulle visite che con frequenza il suo luogotenente Vincenzo casillo, latitante, gli faceva in carcere fino a quando non fu ucciso in un attentato a Roma il boss ha detto che nella vicenda Cirillo ci sono stati molti morti. Cutolo si è intrattenuto anche sul rapimento di Aldo Moro. Cutolo ha ribadito che già all' epoca del sequestro del leader Dc alcuni personaggi si sarebbero recati nel carcere nel quale era detenuto per sollecitare un suo intervento. Avrei potuto fare qualcosa ha affermato il camorrista ma mi accorsi che forse non lo volevano salvare. Era un uomo onesto. Avevano una pista che portava in Calabria... non fatemi dire di più.

L'oroscopo del Professore di Ottaviano, Raffaele Cutolo: un Saggittario a tutti gli effetti.

Raffaele Cutolo, nato a Napoli nel 1941, come tutti i comuni mortali appartiene ad un segno zodiacale che ne può tracciare la personalità e, forse, il destino:  'o Prufessor 'e Ottaviano è del segno del Saggittario, ascendente Vergine.

Ecco quali sono le caratteristiche del sagittario secondo un noto magazine specializzato in oroscopi:

Sagittario Segno Zodiacale
I nati sotto il segno del Sagittario sono persone leali, sono generose e indipendenti, energiche e combattive; sono di carattere impulsivo, ambiscono a posizioni di prestigio e potere, ma sono anche generosi con gli oppressi. Nutrono ideali fortemente conservatori e la loro principale caratteristica mentale è l'autocontrollo e la capacità di comandare. I nati nel Sagittario hanno una personalità attraente, interessante, magnetica e dinamica. Amano essere ammirati e conoscere una gran varietà di persone. In circostanze ordinarie, sono amabili e s'impongono al rispetto e all'ammirazione. Il loro carattere è sincero, onesto, franco e degno di fiducia.
Per indole, sono gentili e generosi con i loro amici, diplomatici e pieni di tatto in molti casi, ma sono facilmente eccitabili. Però, benché facili ad andare in collera, normalmente dimenticano presto ed è improbabile che serbino rancore. Sono orgogliosi, ma ben pochi di questo segno si mostrano egoisti. In molti campi i nati nel Sagittario rivelano una natura indipendente e, generalmente, si ribellano ad ogni forma di costrizione. Comunque, possiedono un vivo senso dell'umorismo e quando lo vogliono, si rivelano simpaticamente gioviali. Hanno energia, decisione, forza di volontà, ma se vengono contraddetti possono essere assai testardi e ostinati.
Raffaele Cutolo negli anni 80
Se siete nati sotto il Sagittario, avete una sviluppata facoltà d'osservazione, intuizione, mentalità logica; mostrate non comuni facoltà di giudizio in molte questioni, tranne che in quelle implicate direttamente nella sfera della vostra natura emotiva. Per ciò che riguarda il lavoro, mostrate di saper giudicare obiettivamente, ma quando si tratta della vostra vita, siete soggetti a errori di giudizio. La capacità di apprendere nei nati nel Sagittario è molto rapida: possono imparare rapidamente. Sono inclini, specie nella prima metà della loro vita, a cacciarsi in ogni sorta circostanze nelle quali è necessaria una grande rapidità di riflessione per evitare spiacevoli conseguenze. Hanno una immaginazione viva, ma non sono sognatori.
Vero è che si abbandonano alle fantasticherie in amore, ma in genere sanno usare l'immaginazione per fini realistici. Questo segno presiede sulle anche e le cosce, e, per reazione, sul petto e sui polmoni. E' consigliabile guardarsi dai raffreddori, perché potrebbero intaccare seriamente il sistema respiratorio. Questo segno ha una forte passione per gli sport, per i giochi, i viaggi, con il suo spirito d'avventura , l'automobilismo, la solitudine delle foreste, dei fiumi, delle montagne e dei deserti. Amano i trattenimenti sociali e apprezzano profondamente l'arte, la musica, la danza. La loro natura irrequieta e attiva troverà la sua espressione nei cambiamenti; i nati nel segno del Sagittario si sposteranno in continuazione. Il viaggiatore stimola la loro mente e dona loro un grande sollievo.
L'oroscopo indica che pur essendo intensamente emotivi possono anche mostrarsi riservati. Tuttavia, appartengono al tipo che trova maggior felicità dopo il matrimonio che prima. Il loro ideale di compagno deve essere intellettuale, affettuoso, possedere spirito di avventura e molta pazienza e comprensione. Infatti il loro carattere vivace e avventuroso spesso li rende irrequieti e desiderosi di cambiare, cosa che faranno appena ne avranno la minima possibilità. A volte, anche pochi giorni soltanto trascorsi lontano da casa, basteranno per far loro superare questo desiderio. Le persone di questo segno sono industriose, studiose e progressiste. Si fanno strada nella vita soprattutto grazie alla loro decisionalità e alle loro doti intellettuali. Hanno bisogno di un'attività che richieda dinamismo sia fisico che intellettuale e sono adatti a svolgere un lavoro che li porti a contatto con il pubblico. Un gran numero di nati sotto il Sagittario diventano avvocati, insegnanti, medici, scrittori e giornalisti; si dedicano anche agli affari, quali l'editoria, i trasporti e, scienziati, ricercatori e piloti.
Molti tendono a seguire più attività contemporaneamente. Le prospettive finanziarie, nel corso della vita, possono considerarsi abbastanza buone. Possono arrivare a spendere senza riflettere. Per quel che riguarda il denaro, infatti, non sono risparmiatori e ci sono momenti in cui acquistano oggetti senza riflettere sul valore reale che possono avere. I nati nel segno del Sagittario avranno nel corso della vita molte amicizie. In ciò, li aiuteranno la lealtà e il senso dell'umorismo. Infine : nel suo aspetto simbolico, questa Costellazione raffigura gli sport venatori infatti il suo simbolo è usato per designare gli sport autunnali e la caccia. La troviamo rappresentata da un centauro con l'arco teso e la freccia incoccata la cui testa tocca l'arco, pronto a scoccare.
Il centauro è simbolo di autorità e di saggezza terrena. Il segno del Sagittario rappresenta le cosce dell'Uomo Zodiacale, il sistema muscolare, o apparato motore; è l'emblema della stabilità, della forza fisica e anche dell'autorità e del comando. Il Sagittario è la più bassa emanazione del Trigono di fuoco ed è la costellazione del pianeta Giove. Esso rappresenta i poteri " della Chiesa e dello Stato " e simboleggia la forza dei codici civile, militare e religioso. Ci indica le capacità organizzative dell'umanità. La gemma mistica di questo segno è la turchese, un talismano di grande potenza per i nati in questo segno. Il giorno fortunato è il giovedì. Il numero fortunato è il nove. Il colore fortunato di questo segno è il porpora. I luoghi più propizi per il successo sono i grandi spazi all'aperto.

fonte: Ginevra2000.it

Raffaele Cutolo è un Sagittario, ma "ascendente Vergine"

I nati con l'ascendente Vergine sono spesso un po' sottovalutati nei loro atteggiamenti personali e nell'apparenza, sebbene molto dipenda dalla posizione di Mercurio (il pianeta dominante della Vergine) nel grafico. Generalmente, l'Ascendente Vergine possiede un'aura intelligente e riservata che è inconfondibile. In realtà sono persone abbastanza timide e hanno bisogno di tempo per analizzare le cose intorno a loro prima di abituarsi a persone e situazioni. Questa qualità può essere recepita esattamente così o come un atteggiamento piuttosto riservato, tranquillo e anche critico (a seconda delle persone).
Uno dei più grandi tratti della personalità di questa posizione è la conoscenza del corpo.L'Ascendente Vergine è sensibile ad ogni disagio o altro segnale proveniente dal proprio corpo. Molti sono interessati ed esperti di salute fisica, e altri sono attratti dagli esercizi di conoscenza del corpo e della mente come lo yoga. Sono anche particolari nei confronti del cibo. Sebbene abbiano buon appetito, ci può essere un' evidente difficoltà riguardo a ciò che introducono nei loro corpi.

I nati con Ascendente Vergine hanno la tendenza a lamentarsi molto, specialmente se messi a confronto con nuove situazioni. Essi notano i più piccoli dettagli che gli altri trascurano.

Molte persone con questa posizione hanno la tendenza di attrarre (o essere attratti verso) persone che hanno bisogno di aiuto. Le loro relazioni risultano essere confuse. Nonostante la tendenza dell'Ascendente Vergine ad apparire padrone di sé e professionale, le relazioni possono essere a volte  disordinate semplicemente perchè essi non sempre vedono chiaramente i loro partner e i loro rapporti.
C'è un pacato fascino nell'Ascendente Vergine. Una volta avuta la possibilità di abituarsi a nuove persone e a nuove situazioni, troverete che ha molto da offrire. Vi tirerà fuori dagli ingorghi, rischierà la vita per voi e vi sorprenderà con una modestia naturale che si nasconde dietro un atteggiamento critico e riservato.

Le caratteristiche dell'Ascendente Vergine sopra descritte vengono modificate dai pianeti che congiungono l'Ascendente, dai pianeti che lo posizionano e dalla posizione del segno del pianeta che domina l'Ascendente. Ad esempio, una persona con Ascendente Vergine che ha il suo pianeta dominante, Mercurio, in Toro risponderà all'ambiente in modo un po' differente rispetto ad un'altra persona sempre Ascendente Vergine, ma avente Mercurio in Scorpione.
Allo stesso modo, una persona con un Ascendente Vergine che ha anche la congiunzione con Saturno si comporterà diversamente da   un altro Ascendente Vergine che non ha questo aspetto nel suo grafico di nascita.